Follia + Paul Dalvaux

Paul Delvaux (Joy of life)

DAL TESTO

“Un matrimonio come tanti, allora”.
“Immagino di sì”.
“Un marito, una casa, un figlio, una serenità accettabile. Eppure hai messo in gioco tutto per una storia di sesso con un paziente”.
“Sai, sono calcoli che uno non fa”.
“Ma come ti sembrava l’idea che tutto il tuo mondo fosse in pericolo? Non so, era inebriante?”.
Mi ero appoggiato con un gomito al tavolo, e la guardavo con un’esperessione di partecipe, aperta curiosità.
“Essermi innamorata, questo mi sembrava inebriante”.
Ci fu un attimo di silezio.
“Già, l’amore” dissi. “Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare. Come lo descriveresti?”
Qui Stella fece un’altra pausa. Poi, con voce stanca, riprese: “Se non lo sai non posso spiegartelo”.
“Allora non si può definire? Non se ne può parlare?”.
“E’ una cosa che nasce, che non si può ingnorare, che distrugge la vita delle persone. Ma non possiamo dire nient’altro. Esiste, e basta”.
“Queste sono parole, Peter” mormorò Stella.
“Forse” dissi un po’ piccato. “Ma sono anche l’unica cosa che abbiamo”.

ORIGINI

Patrick McGrath – Follia (Asylum) – 1996

Paul Delvaux – Joy of life – 1937

 

DUE PAROLE

“Follia” non brilla per originalità ma si distingue eccelsamente per una caratteristica precisa, la dote con cui l’autore analizza la ricostruzione (o ricostruisce l’analisi) che lo psichiatra-voce-narrante compie nei confronti della protagonista della vicenda. Il percorso a ritroso negli eventi diventa testo stesso, autoanalisi, e la razionalità dei pensieri del dottor Cleave si tramuta immediatamente in un serrato ritmo narrativo. La storia è il classico dramma emotivo in cui Stella, moglie di un rampante psichiatra inglese, si innamora di uno dei pazienti del marito, tale Edgard Stark, un instabile e pericoloso uxoricida.  È lei, e lei solamente, la vera luce del romanzo. Tutto, a somme tirate, arriverà a dimostrarsi povero e sterile a suo fianco. Come un sentimento troppo alto per essere compreso, come una divinità troppo potente per commuoversi di fronte alla propria crudeltà, la donna accetta la propria indole stoicamente, aliena da ogni forma di umanità. A termine del romanzo, nonostante la scabrosità dei suoi gesti, lei, e solo lei, sarà l’unica presenza del racconto a sopravvivere moralmente. Gli altri, i vili (tutti uomini, fra l’altro) saranno mietuti di fronte all’immensità femminile, feticcio stesso dell’incomprensibilità dell’amore.