Memorie di Adriano + Giorgio De Chirico

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DAL TESTO

Come chiunque altro, io non dispongo che di tre mezzi per valutare l’esistenza umana: lo studio di se stessi è il metodo più difficile, il più insidioso, ma anche il più fecondo; l’osservazione degli uomini, i quali nella maggior parte dei casi s’adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci credere di averne; e i libri, con i caratteristici errori di prospettiva che sorgono tra le righe. Ho letto, più o meno, tutto quel che è stato scritto dai nostri storici, dai nostri poeti, persino dai favolisti, benché questi ultimi siano considerati frivoli, e son loro debitore d’un numero d’informazioni, forse, maggiore di quante ne abbia raccolte nelle esperienze pur tanto varie della mia stessa vita. La parola scritta m’ha insegnato ad ascoltare la voce umana, press’a poco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m’hanno insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini. Viceversa, con l’andar del tempo, la vita m’ha chiarito i libri.

 

ORIGINI

Memorie di Adriano (Mémoires d’Hadrien) – Marguerite Yourcenar – 1951

Natura morta con argenteria – Giorgio De Chirico – 1962

 

DUE PAROLE

Così come il Pierre Menard di Borges, nel suo capolavoro “Finzioni”, riscrive un Don Chisciotte identico all’originale, eppur molecolarmente diverso, così la Yourcenar riesce a donarci la realtà di un uomo ricostruito nei suoi stessi pensieri. “Memorie di Adriano”, ovverosia la lunga lettera di commiato indirizzata al giovane Marco Aurelio, racconta analiticamente, dall’alba al tramonto, i ricordi dell’imperatore ormai prossimo alla morte. Adriano, uomo tra gli uomini, analizza così, rammentandosi e rammentando, l’intero spettro umano. L’uomo dietro la figura che arriva infine ad indiarsi (come spesso accade ad ogni essere pensante dotato di sensibilità ed orgoglio) spiegherà come sia la natura del suo animo, e non la posizione sociale, a renderlo divino tra i mortali. Un salto improponibile e magistrale, che ci permette di avvicinarci ad un’altra visione del mondo, quella della responsabilità. Dice egli, in un passo cruciale: “Non che io dispezzi gli uomini: se lo facessi, non avrei alcun diritto, né alcuna ragione, di adoperarmi a governarli.”
La Yourcenar combattè tutta la vita con questo inarrivabile romanzo che ebbe infatti una gestazioni di circa trent’anni. Un lavoro talmente elevato e profondo da suscitare, in maniera raffinatamente bilanciata, le percezione di divinità e trivialità in qualunque lettore si lasci trasportare da questa meravigliosa lettura.