Cesare Pavese – La casa in collina


manzara

 

DAL TESTO 

Entrai qualche volta da solo in cappella, nel freddo buio mi raccolsi e cercai di pregare; l’odore antico dell’incenso e della pietra mi ricordò che non la vita importa a Dio ma la morte. Per commuovere Dio, per averlo con sé, -ragionavo come fossi credente – bisogna aver già rinunciato, bisogna essere pronti a spargere sangue. Pensavo a quei martiri di cui si studia al catechismo. La loro pace era una pace oltre la tomba, tutti avevano sparso sangue. Com’io non volevo.
In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, una certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia. Volevo esser buono per essere salvo. Lo capii così bene che un giorno mollai. Naturalmente non fu in chiesa, ero in cortile coi ragazzi. I ragazzi vociavano e giocavano al calcio. Nel cielo chiaro – quel mattino aveva smesso di piovere – vidi nuvole rosee, ventose. Il freddo, il baccano, la repentina libertà del cielo, mi gonfiarono il cuore e capii che bastava un soprassalto d’ energia, un bel ricordo, per ritrovare la speranza. Capii che ogni giorno trascorso era uno verso la salvezza. Il bel tempo tornava, come tante stagioni passate, e mi trovava ancora libero, ancora vivo. Anche stavolta la certezza durò poco più di un istante, ma fu come un disgelo, una grazia.

 

DUE PAROLE

Corrado è un giovane professore che osserva la guerra, la resistenza italiana, alternandosi fra la città, Torino, e il Piemonte collinare, ove vive e si rifugia. Il dualismo fra vita e ruralità è lo stesso che combatte nel cuore del protagonista, e probabilmente anche in quello di ogni uomo posto di fronte alle atrocità della guerra. Il pensatore Pavese si oppone al soldato Pavese, quasi inesistente, mutilato. La teoria contro l’amara realtà. La sofferenza espressa da questa divisione, ma soprattutto da questa incapacità di azione diretta, tipica di ogni intellettuale, viene sottolineata nel crescendo finale del libro, che così incisivamente lo stesso Pavese riporta:
“Adesso che la campagna è brulla, torno a girarla, salgo e scendo la collina e ripenso alla lunga illusione da cui ha preso le mosse questo racconto della mia vita. Dove questa illusione mi porti, ci penso sovente in questi giorni: a che altro pensare? Qui ogni passo, quasi ogni ora del giorno, e certamente ogni ricordo più inatteso, mi mette innanzi ciò che fui – ciò che sono e avevo scordato. Se gli incontri e i casi di quest’anno mi ossessionano, mi avviene a volte di chiedermi: “Che c’è di comune tra me e quest’uomo che è sfuggito alle bombe, sfuggito ai tedeschi, sfuggito ai rimorsi e al dolore?”
Qui Pavese esprime chiaramente l’impossibilità del ritorno: chiunque venga portato verso un limite difficilmente può tornare a vedere le cose ingenuamente. La guerra, in questo senso, viene vista quasi come una sorta di esperienza di vita, più che ad un’atrocità, avvicinando questo testo, mi si passi, ad un romanzo di formazione più che ad una voce storica, o di impegno sociale. Nel ricordo, il senso di incompiutezza, quel rantolo amaro che ci rimembra di essere stati spettatori ma non protagonisti. Della guerra, così come della stessa vita.

 

INFO UTILI

130 pag, 2 ore e mezza di lettura circa.

 

ORIGINI

La casa in collina – Cesare Pavese (Edizione Einaudi, ISBN 9788806193706)

Roger De La Fresnaye – Village landscape