Trilobiti – Breece D’J Pancake

giuseppe santomaso

Il sole spuntava tra le nubi e le colline, si spostava così in fretta che sembrava di seguirne il movimento, faceva luccicare la neve sui rami. Quando Buddy girò gli occhi, il suo sguardo fu attratto dall’ombra fredda di un cervo disegnata sul nastro giallo dell’alba. Buddy si mosse lentamente, sollevò il fucile all’altezza del viso, puntando verso l’ombra e, prima che il rumore s’infrangesse nella valle, vide un movimento fulmineo. Corse dove aveva visto il cervo ma non c’era sangue. Trovò l’animale solo dieci metri più in là. Era una femmina, con una ferita vicino alla spalle, un labbro rosa che però non sanguinava. Lavorando alla svelta, staccò i tendini posteriori, c’infilò una corda e appese l’animale a un ramo basso. Tagliò la gola e il sangue sgocciolò sulla neve, ma mentre Buddy passava il coltello sul ventre qualcosa sussultò dentro la carcassa, muovendosi contro la punta della lama. Continuò a tagliare e quando le viscere penzolarono fuori gli cadde ai piedi un mucchietto che si contorceva. Spostò il feto con un calcio, staccò le viscere della madre, tagliò i quarti posteriori e lasciò cadere la carcassa per farla trovare agli altri animali. Mise tre fettine di fegato a raffreddare nella neve. Il sangue caldo della cerva gli bruciava le nocche scorticate. Se le lavò con la neve e ricordò perché aveva picchiato Fred Johnson: aveva messo un proiettile nel carbone del vecchio Cox. Cominciò a ridere. Immaginò il vecchio Cox che urlava come un ossesso. “Merda!”, disse, scuotendo la testa divertito. Addentò un pezzo di fegato credo e fresco e mentre il succo gli colava fra i denti guardò gli ultimi spasimi del cerbiatto fra i vapori della neve. Non vedeva l’ora di incrociare le braccia in miniera il giorno dopo, e rise immaginando la faccia di Curtis. “Sciopero”, continuava a borbottare. Da una collinetta, dov’era scappata per colpa dei cani, la lince osservava, aspettando che l’uomo se ne andasse.

DUE PAROLE

Trilobiti è una raccolta di dodici racconti brevi. Sono arrivato questo libro da una recensione entusiastica, non ricordo di chi, che dipingeva Breece D’J Pancake come uno dei migliori scrittori americani di sempre. Morto suicida a ventisette anni, età peculiare, appartiene a tutti glie effetti a quella categoria di artisti rimasti intonsi, ma direi anche, semplicemente incompiuti. Nonostante non sia rimasto folgorato dal suo stile (a differenza di altri illustri lettori, come ad esempio Vonnegut) ho trovato qualità brillanti come la capacità, quasi mistica, di saper intrecciare passato con presente, opponendo l’eternità dei paesaggi americani all’amenità di sconosciute situazioni provinciali. Non è la solita banale dicotomia fra l’uomo e la natura. Quest’ultima, infatti, in maniera quasi invasiva, incombe con la sua grandezza nella vita di ogni piccolo uomo. La sensazione che ognuno di noi può provare ponendosi in fronte a una montagna. Immobile, gigantesca, monolitica ed eterna. Limpida. Ho avuto la costante sensazione, leggendo Pancake, di ritrovarmi in una fotografia di Ansel Adams, o di rivedere scene da “il cacciatore” di Cimino. Esattamente quell’America “minore”. Gli animali, sempre presenti, hanno un fortissimo richiamo all’ancestralità. Il primitivismo delle trilobiti che brulicano nella terra è sullo stesso piano narrativo delle persone che popolano i racconti. La prosa tagliente, asciuttissima (di certo non originale) è la lama dell’aratro con cui lo scrittore solca il suo segno attorno a questo mondo.

Nota: curioso come il traduttore italiano abbia scelto di non usare i congiuntivi. La pubblicazione è recente, non è la prima volta che mi capita. Sarà tendenza diffusa o moda passeggera? Senza sarcasmi, mi chiedo: sarà una buona scelta questa deriva semplicista?

INFO UTILI

190 pagine, due ore e mezza di lettura circa.
Minimum fax editore, ISBN 9788875217280

In copertina, Giuseppe Santomaso