Arthur Schnitzler – La signorina Else

E a me faceva piacere. Ah, più che piacere. Ero come inebriata. Mi accarezzavo i fianchi con entrambe le mani, fingendo con me stessa di non sapere che mi stavano guardando. E la barca è rimasta inchiodata lì. Sì, sono così io. Proprio così. Una sgualdrina. Se ne accorgono tutti. Anche Paul se n’è accorto. Non per niente è ginecologo. E anche il guardiamarina se n’è accorto, e anche il pittore. Solo Fred, ingenuo com’è, non se ne accorge. E per questo mi ama. Ma davanti a lui non vorrei mai e poi mai mostrarmi nuda. Non proverei alcun piacere. Solo vergogna. Davanti all’avventuriero con la testa da antico romano invece… molto volentieri. Più che davanti a chiunque altro. E sarei pronta a morire subito dopo. Ma non è affatto necessario morire subito dopo. Si sopravvive. Bertha è sopravvissuta a ben altro. E anche Cissy è senza dubbio nuda sul letto quando Paul la raggiunge attraversando di soppiatto i corridoi dell’albergo, come farò io questa notte per andare dal signor von Dorsday. No, no. Non voglio. Da chiunque altro… ma non da lui. Piuttosto da Paul. Oppure me ne scelgo uno questa sera a cena. Tanto, uno vale l’altro. Ma non posso mica dire a tutti che in cambio voglio trentamila fiorini! Sarei come una di quelle donne della Kärntnerstrasse. No, non ho intenzione di vendermi. Mai. Non lo farò mai. Piuttosto mi concedo per niente. Sì, quando troverò la persona giusta, lo farò per niente. Ma vendermi no. Voglio essere una sgualdrina, ma no di certo una volgare prostituta. Lei si è sbagliato di grosso, signor von Dorsday. E anche papà. Sì, ha fatto male i suoi conti. Deve ben averlo previsto. Sa come sono fatti gli uomini. E conosce il signor von Dorsday. Avrà ben immaginato che il signor von Dorsday non è uno che dà niente per niente… Altrimenti avrebbe potuto mandare un telegramma o venire qui di persona. Ma così era più comodo e più sicuro, vero papà? Perché rischiare la galera quando si ha una figlia tanto graziosa? E la mamma, stupida com’è, si siede a tavolino e scrive la lettera. Papà non ha osato. Avrei dovuto capirlo fin da principio. Ma non l’avrete vinta. No, hai speculato con eccessiva sicurezza sul mio affetto filiale, papà, hai contato troppo sul fatto che sarei stata disposta a subire qualsiasi infamia pur di risparmiarti le conseguenze della tua criminosa leggerezza. Sei un vero genio.

 

DUE PAROLE

Con un complicato monologo interiore interrotto qua e là da voci esterne che affiorano come bolle in superficie, si sviluppa il punto di vista della giovane signorina Else, una diciannovenne che vede stravolgere il suo periodo di vacanza presso san Martino di Castrozza da una inopportuna richiesta della madre. Richiesta fatale, che rovinerà drammaticamente la sua esistenza portandola al suicidio. Causa problemi di debiti dovuti alla voluttà di un padre sperperatore, viene chiesto alla ragazza di stuzzicare subdolamente le debolezze di un ricco amico di famiglia, il signor Dorsday, al fine che quest’ultimo interceda con un cospicuo prestito di danaro per sanare i debiti. Il romanzo, una breve novella, viene sviluppato magistralmente da Schnitzler con un crescendo di isterismo che si contrappone perfettamente al piombare della giovane anima verso il proprio oblio. Le due dimensioni si muovono una sulla superficie dell’altra, aumentando il ritmo della prosa da una parte e colando sempre più nel profondo dall’altra. Molti sono i temi che il lettore può apprezzare. La riflessione più evidente, non so se quella voluta dall’autore, è sicuramente una critica alla ragion borghese del tempo. Sopraffino è come lo scrittore riesce a tramutare la vittima in sporca colpevole mantenendo lo stesso punto di racconto, ovvero gli occhi della protagonista. Con le voci che man mano si accumulano in superfice, lontano dall’abisso interno della ragazza, si scopre lentamente come il mondo che la circonda non solo non sappia ascoltarla ma come la abbia anche palesemente più volte tradita e sbeffeggiata. Un testo crudissimo e di impatto violento, rileggibile fra l’altro in diverse dimensioni. Dalla mera mercificazione della nostra esistenza, alla distanza asettica fra genitori e figli, o ancora a temi più vasti come la follia e l’incomprensione del prossimo, motivi sempiterni dell’umana imperfezione.