Bohumil Hrabal – Treni strettamente sorvegliati

Il mio bisnonno era nato nel milleottocentotrenta e nel milleottocentoquarantotto era tamburino militare e come tale combatté sul ponte Carlo, dove gli studenti gettavano sui soldati le pietre del selciato e presero il bisnonno al ginocchio e lo storpiarono fino alla morte. Da allora, prendeva una rendita, un fiorino al giorno, col quale acquistava ogni giorno una bottiglia di rum e due pacchetti di tabacco, e invece di starsene seduto a casa a fumare e bere arrancava per le strade e per i sentieri dei campi, di preferenza però là dove la gente stava faticando, e lì si faceva beffe di quegli operai e beveva quel rum e fumava quel tabacco, e così ogni anno al bisnonno Lukáš gliene davano tante che il nonno lo riportava a casa sulla carriola. Ma il bisnonno s’era appena rimesso che già ricominciava a domandare dappertutto chi se la passava meglio, finché non lo picchiavano un’altra volta come dannati. Solo la caduta dell’Austria tolse al bisnonno la rendita, quella che aveva preso per settant’anni. Solo la pensione della repubblica spazzò via la bottiglia del rum e i pacchetti di tabacco. Eppure ogni anno picchiavano il bisnonno Lukáš di santa ragione, perché continuava a vantarsi di quei settant’anni nei quali ogni giorno aveva avuto la bottiglia di rum e il tabacco. Finché nel millenovecentotrentacinque il bisnonno si vantò davanti a certi tagliapietre ai quali avevano appena chiuso la cava e quelli lo picchiarono a tal punto che morì. Il dottore disse che poteva campare ancora vent’anni buoni. Per questo nessun’altra famiglia stava tanto sullo stomaco alla città. Mio nonno poi, perché la mela non cadesse lontana dall’albero, faceva a sua volta l’ipnotizzatore e lavorava nei piccoli circhi, e tutta la città vedeva nelle sue ipnosi il desiderio di fare più che poteva la vita dello scioperato. Quando però i tedeschi in marzo passarono le nostre frontiere per occupare l’intero paese e avanzavano in direzione di Praga, soltanto il nonno andò loro incontro, soltanto il nonno andò ad opporsi ai tedeschi come ipnotizzatore, ad arrestare i carri armati in avanzata con la forza del pensiero. E così il nonno camminava sulla strada con gli occhi fissi sul primo carro che guidava l’avanguardia di quelle truppe motorizzate. E su quel carro, dentro la torretta fino alla vita, stava un soldato del Reich, in testa aveva il berretto nero col teschio e le tibie incrociate, e mio nonno continuava ad avanzare diritto verso quel carro, aveva le braccia distese e con gli occhi iniettava ai tedeschi il pensiero, fate dietrofront e tornate indietro… e davvero, quel primo carro armato si fermò, tutto l’esercito restò fermo, il nonno con le dita toccava il carro armato e continuava a trasmettere lo stesso pensiero… fate dietrofront e tornate indietro, fate dietrofront e tornate indietro, fate dietrofront… e poi il colonnello con la bandierina fece segnale e il carro armato partì, ma il nonno non si mosse e il carro lo investì, gli strappò la testa, e niente più impediva il passo all’esercito del Reich. E mio padre poi andò a cercare la testa del nonno.

 

DUE PAROLE

Piccola, deliziosa perla de “l’ironia Praghese”. “Treni strettamente sorvegliati” è un racconto lungo, grottesco e graffiante. Potrei accostare numerose similitudini di prosa e ferocità d’umorismo, ma vorrei lasciare ad Hrabal l’unicità che merita.
La vicenda in breve: nella Boemia del ’45, il giovane ferroviere Milos viene coinvolto in un’operazione partigiana di sabotaggio ad un carico di munizioni tedesco e, sorpreso da un soldato, perde la vita insieme ad esso. Milos descrive insomma la sua morte, o il suo ultimo giorno di vita. E dall’incipit alla sua morte, Hrabal mescola costantemente il sacro al profano accostando volutamente capi estremi. La voluttuosa e piccola stazione ceca contro l’algido ed asessuato Reich. La rigida gerarchia militare tedesca contro la buffa e scoordinata organizzazione burocratica ferroviaria (strepitose le pagine dove si confrontano i vari gradi in comando alla stazione: capostazione, caposervizio, capomanovra e consigliere). La bellezza della vita e la fatica di una morta inattesa a fianco di uno sconosciuto. La difficoltà dell’amore e la facilità lasciva di un coito. L’attesa del suggello amoroso con la propria fidanzata e l’immediatezza del rapporto con la ribelle Viktoria. Ne erompe una feroce caricatura di ogni macchina burocratica, una prosa asfissiante e visionaria, nonché una lucida riflessione sull’essenza della guerra. Come a sottolinearne la totale inutilità, Hrabal sceglie di far morire Milos mano nella mano con uno sconosciuto, suggellando il vigliacco non-sense di ogni conflitto con una delle migliori frasi d’uscita che mi sia capitato di leggere: “Dovevate starvene a casa, seduti sul culo…”

 

INFO UTILI

Poco meno di 2 ore di lettura, credo.
In copertina un quadro di Fortunato Depero.