Casi – Daniil Charms

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DAL TESTO

“Non per vantarmi, ma posso dire che quando Volodja mi ha colpito sull’orecchio e mi ha sputato in fronte, io gliene ho date tante che non se le dimenticherà di sicuro. È stato soltanto dopo che l’ho colpito col fornelletto a petrolio, mentre col ferro da stiro l’ho colpito la sera. Per cui non è affatto morto subito. Non è una prova il fatto che la gamba gliel’abbia mozzata ancora nel pomeriggio. Allora era ancora vivo. Andrjusa invece l’ho ammazzato solo per inerzia, e non posso certo farmene una colpa. Perché mi sono venuti tra i piedi, Andrjusa ed Elizaveta Antonova? Che bisogno avevano di saltar fuori da dietro la porta? Mi accusano di ferocia, dicono che ho bevuto sangue, ma non è vero: sì, ho leccato via le pozze e le macchie di sangue, ma non è che la naturale esigenza umana di distruggere le prove del proprio delitto, seppure insignificante. Così come non ho violentato Elizaveta Antonova. Per prima cosa non era già una vergine, in secondo luogo avevo a che fare con un cadavere, per cui lei non ha proprio da lamentarsi. Che c’entra fosse lì lì per partorire? Il bambino l’ho appunto tirato fuori io. E il fatto che lui non sia più di questo mondo non è certo colpa mia. Non è che io gli abbia staccato la testa, la colpa è di quel suo collo così sottile. Non era fatto per questa vita. È vero che ho spiaccicato sul pavimento con lo stivale il loro cagnolino. Ma questo poi è puro cinismo, farmi la colpa dell’uccisione di un cane quando proprio lì, si può dire, sono state distrutte tre vite umane. Il bambino non lo conto. D’accordo, posso convenire, in tutto ciò si può riscontrare una certa crudeltà da parte mia. Ma considerare un delitto il fatto che io mi sia accovacciato e abbia defecato sulle mie vittime, questo, scusate, è assurdo. Defecare è un’esigenza del tutto naturale e, di conseguenza, niente affatto delittuosa. Pertanto comprendo l’apprensione del mio difensore, ma spero comunque nella piena assoluzione.”
10 luglio 1941

 

DUE PAROLE

La raccolta, o piccola antologia di Charms, “Casi”, curata da Rosanna Giacquinta, comprende, a specchio più ampio, l’insieme di opere, racconti brevi, lettere, teorie e pensieri di Charms dal 1933 al 1939. Dico a specchio più ampio, poiché l’altra raccolta “disastri” (che trovate recensita qui) è sicuramente più efficace e ritagliata. In questo libro compaiono infatti, oltre a i “casi” che danno il titolo all’opera e facevano parte dei suddetti disastri, anche il racconto lungo “la vecchia”, “Racconti di anni diversi”, “materiali pseudo autobiografici”, le “lettere”, i “diari” e gli astrusi “scritti teorici” vero grattacapo del non senso.
Dalla lettura così differenziata di tutto ciò che è stato il personaggio Charms, così bizzarro e così geniale, si estrae una stupenda medaglia, con le due facce, lontanissime tra loro, di un uomo scrittore. Tanto truce surreale cinico e lontano dall’umanità come in calce, quanto in alcune semplici considerazioni rubate qua e là al testo. Come questa ingenua ammissione, ad esempio, che un po’ ce lo spiega: “a me interessano solo le sciocchezze, solo ciò che non ha alcun significato pratico. La vita mi interessa solo nel suo manifestarsi assurdo. Eroismo pathos, ardimento, moralità, commozione e azzardo sono parole e sentimenti che mi sono odiosi. Ma comprendo perfettamente e ammiro: entusiasmo ed esaltazione, ispirazione e disperazione, passione e riservatezza, dissolutezza e castità, tristezza e dolore, gioia e riso.” Un vero alieno della letteratura comica e cinica, neanche paragonabile al suo maestro ‘Gogol. Quasi offeso nel capirci, noi, stupidi umani con le nostre emozioni. Lode a Daniil Charms.

 

NOTA PERSONALE

Come “Ubik”, letto e recensito in ospedale, durante operazione bimascellare. Divertente e ironico, trovare il racconto della vecchia cui viene frantumato il mento.
INFO UTILI

Pagine : 330, tempo 6 h circa
Letture affini : Disastri, Charms – Il cappotto, ‘Gogol
ORIGINI

Casi – Daniil Charms – (Gli Adelphi)

(In breve cosa penso dei viaggi: quando si viaggia non bisogna andare troppo lontano, perché si possono vedere cose tali che poi sarà impossibile dimenticarle. E quando qualcosa rimane troppo ostinatamente nella memoria, l’uomo dapprima comincia a sentirsi a disagio, poi gli diventa molto difficile conservare la propria forza d’animo. D.C.)