2nd May, Yeovil (Itaca?)

Arrivati, siamo a casa, finalmente, che casa non è. Sono solo, ora, sul divano, e lo spirito del Fred mi ha appena letto una poesia di Kavafis. Itaca. Sono triste. Ho realizzato in questo momento che Jun se ne è andato, così come fra poco toccherà ad altri ed altri ancora. Lo so. La mia Itaca è un albero e le stagioni lo stanno mutilando costantemente. Quanti amici germoglieranno ancora e quanti ne perderò per il mondo? La distanza non mi fa paura, non la temo. Come per i sentimenti, non voglio altre dimensioni diverse da quella dell’infinito. Mi piace pensare di poter portare dentro tutti, anzi, di dover lottare per raggiungerli di nuovo, un giorno. La mia Itaca non è una casa, la mia Itaca è un passaggio. Ne sono consapevole. Lo spirito del Fred mi fa notare per la seconda volta in vita sua che “perdere qualcuno implica l’averlo prima trovato”. Ed ha ragione. E allargo il sorriso. Così ringrazio chi ha trovato noi, intanto, coloro i quali si sono aggiunti alla carovana della lettura di questo breve, inutile diario. Chi, con modestia, è salito sul vascello di Capitan Puma, nel mare imperfetto della mia scrittura, nell’oceano di ricordi privati della ciurma. Senza che nessuno chiedesse niente. E poi loro, ovviamente, noi, i miei compagni di viaggio. Le tre persone fisiche e le due persone accomodate sul mio cuore. Spero che i miei occhi vi siano bastati. Non è un viaggio importante, questo, come non lo è nessuna destinazione. Mi piace pensare che ciò che conta, in realtà, sia la speranza, quel filo capace di tenere legate le persone a chilometri di distanza, con tempi e luoghi inconciliabili, nei propri amori e nei propri desideri più remoti, nelle proprie amicizie, nelle proprie passioni. Ci vuole solo volontà. È questo lo spirito del diario: la speranza, il filo della maglia che tesse Penelope. A voi, cari, il mio augurio, il nostro migliore augurio. Possiate trovare la vostra Penelope ovunque, e sempre desideriate tornare ardentemente da lei. Non vi è persona più smarrita di chi rimanga fermo in un posto, con il corpo, ma soprattutto con la mente. Il viaggio è desiderio. Viaggiare, viaggiate. I confini si possono espandere solo dall’interno. Non importa quanto distante sia il vostro porto, sia esso una persona, una promessa di vita, un luogo, un peccato o una semplice, banale, vacanza come quella qui piacevolmente raccontata. Inseguendolo vi sentirete vivi. Sentendovi vivi, udirete Penelope cantare. “Vero?” chiedo. Ecco, lo spirito del Fred scompare, si dissolve. Ci siamo dati appuntamento a Itaca. Tutto scompare, adesso, diminuisce come il goccetto della buona notte nel mio bicchiere. Come fosse una clessidra, rivolto un altro po’ di tempo fuori dalla bottiglia. Butto il fuoco dentro la gola, scaldiamo i motori. Mi si gonfiano le vele nel petto.

Sono pronto a ripartire. Voi?

1st May, Glasgow

Gong. Ivan Drago è al tappeto, K.O. Tecnico primo round. Neanche il tempo di far entrare Adriana. Edimburgo vince a mani basse, gomiti altissimi. Questa notte mi sono addormentato fuori dalle coperte. Come al solito salto la colazione perchè arrivo troppo lungo al mattino. Mi ci va sempre un sacco di tempo prima di voler lasciare il caldo accogliente del letto, richiama troppo il tepore dell’utero materno, così mi rannicchio e generalmente salto le colazioni. Ci svegliamo raccontandoci i sogni mentre lo spirito del Fred è in bagno che si sciacqua. Io ho sognato mia nonna Teresa che si duplicava. C’erano due nonne Terese. Cercavano come di tenermi nascosti i segreti dell’universo, cioè che siamo tutti un solo elemento e fluiamo nelle nostre esperienze e che la vita non è altro che un infinito pensiero di una coscienza collettiva alla quale tutti, prima o poi, torneremo a restituire linfa eterna. Il dandy invece dice di aver sognato di essere un vescovo e aver pianto la morte di alcune centinaia di persone davanti ai loro tumuli e poi di aver suonato assieme a Brian May in un rifugio al polo nord. Il puma invece non sogna, lui generalmente fa.
Arrivati in centro a Glasgow ci imbattiamo in una manifestazione dell’internazionale socialista. C’è un gruppetto di gente che protesta e noi ci infiliamo in un vecchio mercato coperto dove una dozzina di anziani balla arzilla delle danze popolari. Sulla via verso il centro troviamo il negozio di shopping stile oasis e spendiamo un sacco di soldi. Proviamo ad indossare almeno metà dei capi in vendita (il Dandy almeno l’ottanta per cento) mentre i commessi ci parlano di calcio. Tutti gli scozzesi parlano di calcio e sono informatissimi sul campionato italiano. Uno, ad esempio, sapeva addirittura che esistesse il Livorno.
Con le nostre belle borsette piene di oro incenso e mirra, da perfetti amanti della natura, viaggiatori esperti scevri da ogni forma di consumismo, ci rechiamo al G.o.M.a. Il museo di arte moderna della città. Mai visto tante schifezze inutili in un solo posto. Banksy, se mi stai leggendo volevo dirti che “mind the crap” avresti potuto andarlo a scrivere lì, piuttosto che a Londra. Avresti fatto più bella figura. Lasciamo la cloaca artistica abbastanza tardi e mangiamo una pizza verso le quattro. Glasgow è strana. È piena di monumenti sporchi di cacche di piccione in testa. Sicuramente elegante, ma un po’ troppo scialba. Manchiamo alla grande le cose più importanti e significative da vedere: la cattedrale, la casa di Mackintosh e l’art school. Anche lo stadio e chissà quante altre cose. Pace amen. Forse per questo Glasgow ci ha deluso un po’. Dopo esserci ritirati per una doccia, usciamo e ci buttiamo in un pub di nome Social. Ci beviamo un litro di leffe a testa a stomaco vuoto e a me sembra di avere un calcinculo in testa. Ripariamo così, volenti o nolenti, dal più nobile dei ristoratori scozzesi, tale McDonald il signore dei panini. Passata la sbronza decidiamo di fidarci del consiglio di un ristoratore italiano che stamattina ci ha servito un caffè. Andiamo in un club di nome Sub dove suonano house tecno pesantissima e scappiamo via dopo poco causa assenza esasperata di avventori. Proviamo in coda in un altro club ma quando ci dicono il prezzo dell’ingresso optiamo all’unanimità per un taxi ed ora sono di nuovo nella hall dell’hotel a scrivere mentre quella fastidiosa receptionist mi osserva.
Domani si torna nel somerset, fine della pacchia, fine della vacanza, viaggio, esperienza, chiamatela come volete. Non so se scriverò domani, sarebbero solo ringraziamenti. Stacco e vado a dormire. Buon primo maggio a tutti, lavoratori.Ancora un mese e sarò fuori di prigione.

30th april, Glasgow

Ora Ivan Drago deve dimostrarci di poter battere Rocky. Alla fine abbiamo dato una possibilità anche a lei e se Glasgow vuole dimostrare di poter essere migliore di Edimburgo, rivoluzionare il cinema americano di serie B e regalarci qualcosa di toccante, può farlo in questi due giorni. Quindi poche scuse. Ok?
Ma cominciamo da Kyle. Stamattina ci regalano un barbeque e il Dandy lo accetta per cortesia. Già, un gruppo di ragazzi in partenza ci regala un completo da barbeque con griglia e carbonella e piatti e tutto il corredo e noi lo lasciamo nascosto in camera salutando la tizia che il Dandy pensava tedesca ma che in realtà era scozzese, evitando di menzionare di aver lasciato un completo da barbeque in camera.
A proposito del Dandy: ieri notte, come al solito, sono andato a dormire tardi per redigere il diario e avevamo un letto matrimoniale e quando io ho finito di scrivere lui mi occupava tutto lo spazio e mi sono dovuto sdraiare nell’angolo esterno del letto, rischiando la vita, rimanendo scomodo per almeno un’ora. Ieri notte russavano pure tutti e tre, tanto per dire quanta fatica sto facendo nello scrivere questo diario. Anche io, ammetto, russo, però almeno russo dopo di loro.
Comunque. Appena usciti da Kyle visitiamo il castello di Eilean Donan che è bello e finto visto che è stato ricostruito dopo il 1900qualcosa. Sulla strada verso la capitale ci fermiamo a mangiare su un molo che si insinua al centro di un lago. La natura è beffarda a volte. Mentre siamo in estasi totale, rispettosi e affascinati dalla pozza immensa di acqua sotto di noi, una folata di vento ci spazza il contenitore di plastica nel lago. Il contenitore di alcuni buonissimi pasticcini che ora riposano insieme a qualche parente di Nessy, pace all’anima loro. Ci sentiamo in colpa e vuoti, meno dolci, ci mancano gli zuccheri per carenza d’affetto, un po’ inquinatori. Non ci resta altro da fare che salpare nuovamente verso sud. Il pomeriggio si dispiega sul vascello, niente di particolare. Arriviamo a Glasgow verso le sette se non ricordo male. Per quanto mi riguarda sto finendo il libro in lettura e McEwan, dopo appena trecentocinquanta pagine, comincia a farsi interessante. A dire il vero a pagina ducentosessantadue c’è una gran cosa, una cosa tipo “una volta, da bambino, aveva cercato di convincersi che il fatto di impedire la morte improvvisa della madre non calpestando le righe del marciapiede fuori dal cortile della scuola, era solo una sciocchezza. Ma aveva continuato a non pestarle, e sua mamma non era morta”. È una gran cosa perchè anche io ogni tanto lo faccio. Penso tipo “se faccio tre salti di fila su una piastrella con il piede destro la persona che desidero sarà mia per sempre” e mi fa piacere non essere l’unico idiota in circolazione. Si dice mal comune mezzo gaudio, no?
Ora siamo appena tornati dalla cena e da un giro serrato whiskey-locali. Sto nella hall dell’hotel perchè in camera non c’è connessione. La signora nera alla reception sta guardando la televisione. Oggi ci è sembrata un po’ rimbambita. Ha scambiato capitan Puma per uno che non sa l’inglese. Domani la colazione è dalle 7 alle 9.30. Gireremo Glagow, ultimo giorno di viaggio. Ho tutta l’intenzione e la voglia di capire se riuscirà a mettere a terra quel mito stereotipato di Rocky.

29th april, Kyle of Lochalsh

Il dandy insiste che la tizia che gestisce il B&B dove dormiamo sia tedesca. Questa mattina glielo chiediamo e lei dice di essere Scozzese. Gli scozzesi sono simpaticissimi e ospitali e la Britannia è un Italia ribaltata. La gente ricca, che va ai matrimoni dei principi e che crede che il lavoro sia il novanta per cento della vita sta al sud mentre quella che pesca ottimo pesce fresco, fatica a trovare lavoro e se ne fotte del serioso sud con una bella risata sta al nord. Qui la cosa che più preoccupa la gente è a che ora vogliamo aver pronta la colazione. Sono talmente ospitali, qui, che stamattina un gruppo di cinque ragazzi ci ha finito il succo d’arancia e il marito della signora che il Dandy credeva tedesca è andato a piedi al supermercato a prendercene una boccia nuova solo per noi. Non so se rendo l’idea. Con il nostro bel succo di arancia fresco siamo riusciti a partire a vele spiegate per l’isola di Skye. L’isola di Skye sta appena al di la del ponte di Kyle ed è una meraviglia di isola. L’isola di Skye ti lascia secchezza delle fauci perchè, quando ci sei su, ti capita di andare in giro per parecchio tempo a bocca aperta.
Oggi abbiamo girato più volte l’isola di Skye. Non abbiamo imposto un senso logico al giro. Delle persone organizzate avrebbero programmato un giro compiuto, un percorso ottimale con punti strategici atti a visitare al meglio l’isola di Skye ma noi siamo più per l’improvvisazione e infatti quando ci è venuta voglia di andare a vedere il tramonto dall’altra parte dell’isola di Skye abbiamo dovuto attraversare per intero tutta l’isola di Skye, ed è stata lunga, ma ne è valsa la pena. E poi chissenefrega.
Abbiamo passato la maggior parte del tempo sul vascello di capitan Puma, alternandoci al timone. Tutti tranne lo spirito del Fred che oggi proprio non ne aveva di guidare. Una canzone di Jimmy Fontana che ci piace tanto dice “Il mondo-Non si é fermato mai un momento-La notte insegue sempre il giorno-gira il mondo gira-eccetera eccetera eccetera”. Così noi, sempre ad inseguire il sole. Così noi, girare girare girare. Siamo finiti alla distilleria di Talisker ma io e lo spirito del Fred ci eravamo già stati e siamo andati a dormire in macchina dopo un goccetto alla ricezione clienti mentre il Dandy e il Puma hanno carpito l’essenza del distillato come due bimbi a legoland. Abbiamo pranzato con un tramezzino che non sapeva di niente. Nel pomeriggio siamo finiti a vedere kilt rock, una cascata a strapiombo sul mare che ricorda cose come le pubblicità dei docciaschiuma più freschi o l’immortalità. Ci siamo seduti su una panchina e abbiamo finito la nostra bottiglia di higland park 12 anni. Ispirati da chissà che, abbiamo realizzato che il sole stava calando nella posizione sbagliata. Così, come già vi ho detto, abbiamo deciso di fare rotta ad ovest per goderci il tramonto sul dell’isola di Skye. Abbiamo trovato un castello diroccato sulla scogliera con cartelli di divieto e ci siamo fiondati in cima immediatamente. E niente, non riuscirò mai a spiegarvi. C’era il castello, le rovine, la roccia che cascava in mare, una distesa di acqua crespa, isolotti bruni, un piccolo tavoliere di erba viva ed un pallido sole morente. Abbiamo fatto un sacco di foto stupide e poi, nel silenzio, ognuno è rimasto con se stesso, i propri desideri e il proprio ego. A fare i conti col vento. Ho preso le mie cuffie e ho ascoltato il chiaro di luna di Debussy osservando le onde che scappavano dalla costa. Siamo scesi, ci siamo dispersi sugli scogli e io mi sono messo a ballare Chopin con tutta la concentrazione di cui ero capace, con tutti i miei desideri accanto, strizzando gli occhi e portando la mia dama immaginaria in giro per quel palcoscenico verde intenso. Un, due tre! Un, due tre! Un, due tre!
Vi prego, se dovessi morire prima di voi, fatemi cremare e sperperatemi poi su una di quelle coste. Grazie. Dopo esserci riempiti l’anima abbiamo provveduto a riempirci anche lo stomaco. Ottimo ristorante di pesce stasera, ci siamo proprio abbuffati. Ostriche, cozze, granchio, aragosta, datteri di mare ed eglefino affumicato. Dire eglefino affumicato è una finezza tanto quanto concederselo. Mi è tornato l’appetito. Un’oretta fa la tizia che il Dandy credeva tedesca ci ha bussato alla porta per chiederci a che ora vogliamo la colazione domani mattina.
Allora, che vi avevo detto riguardo agli scozzesi?

28th april, Kyle of Lochalsh

Oggi siamo finiti sotto un arcobaleno. Non intendo che ci siamo passati vicino o lo abbiamo visto di sfuggita. Intendo che ci siamo finiti sotto, siamo arrivati dove c’è il pentolone con le monete d’oro, il nano, il trifoglio e tutto il resto e siamo diventati parte di un segreto lungo come la notte dei tempi. È stato qualcosa di magnifico, giuro. Mentre la risacca cantava e i gabbiani ci prendevano in giro, abbiamo attraccato il vascello di capitan Puma su una spiaggia incastrata in due pareti di rocce scoscese e siamo andati a toccare i colori con mano. Alcuni di voi affezionati, scettici, lettori si chiederanno come possano capitarci sempre cose particolari. Beh, non c’è riposta se non quella leggera convinzione che le occasioni incredibili, come le persone amate, si debbano sempre rincorrere per tutta la vita. Finchè anche il fato non si arrenda alla nostra irresistibile costanza. Noi speriamo tutti i giorni che ci capiti qualcosa di dignitoso.
Nel grosso orologio scozzese, siamo un piccola lancetta che viaggia in senso antiorario. Ideologicamente, stiamo tornando indietro nel tempo. Chi dispone di un po’ di fantasia può provare ad immaginarselo. Percorriamo infatti la direzione che da nord est ci porterà a sud ovest, descrivendo un semicerchio del tutto simile alla forma dell’arcobaleno. In questi posti, però, il tempo e gli orologi non sono molto importanti. Se non fosse per le scarse recinzioni in circolazione, sarebbe impossibile assegnare un’età a queste terre. Esistono in questa splendente forma di fascino da migliaia di anni, ignare dei baccanali che si scatenano quotidianamente poco sotto di loro. Ed è per quello che in alcuni luoghi è facile sentirsi vicino all’infinito: per la sensazione di assenza del tempo. Quando il tenente Dan si butta dalla nave dopo la tempesta, Forrest dice che il suo amico ha fatto pace con Dio, o chi per esso. Ti senti così, ecco, ti senti proprio così su una di quelle scogliere se ti lasci trasportare dalle onde dell’immaginazione (alla fine siamo tutti un po’ poeti dentro no?). Ti senti un uomo mutilato che nuota nel mare della tranquillità dopo una grande tempesta.
È facile sentirsi liberi. Citando una maglietta che piace tanto al Dandy “siamo sotto il cielo, sopra la terra e accanto all’acqua”. Il Mare incontra la montagna con discrezione, fratello e sorella da sempre separati, si trovano, in alcuni antri le nuvole abbracciano e vestono la roccia nuda. Gli animali ignari e indifferenti a quest’armonia pascolano come testimonianza di vita, ricorcandoci la nostra fragilità. Un agnellino ci traversa la strada. Ha ancora la placenta viva attaccata al corpo e il nostro vascello gli scivola via su un fianco. I laghi sono fatti di piombo fuso, neri specchi del cielo.
Ehi, non prendeteci per super uomini o extraterrestri, non siamo altro che quattro beceri turisti, luridi spendaccioni e oggi a pranzo abbiamo speso trenta sterline, a cena trentacinque, mangiato ostriche bevuto un paio di bottiglie di vino e whiskey, sì qualche whiskey anche mentre guidavamo e quando la polizia ci ha fermato ce la siamo fatta sotto per davvero. E l’altro giorno mi si è aperta la boccetta del liquido delle lenti a contatto e ho lavato completamente due maglioni e due paia di jeans. E capitan Puma è preoccupato perchè il suo vascello puzza di gas quando lo accendiamo. E il Dandy ha poche magliette, a suo dire. E oggi ho messo il piede in una pozza di fango. Ricordatevi che questo è un diario di viaggio. Siamo pieni di problemi, ma ce la caviamo.
Ora siamo a Kyle of Lochalsh, arrivati con un’ora di ritardo rispetto al ritardo dichiarato precedentemente via telefono al gestore del bed&breksfast dove dormiamo. Non c’è connessione internet ma non vedo perchè non dovrei scrivere. Se sono fortunato mi leggerete lo stesso. Domani andiamo sull’isola di Skye.

27th april, Orkney Islands

Mi sveglio in ritardo questa mattina

scendiamo tutti per fare colazione

e al puma viene impartita una doppia razione

anche se non l’aveva chiesta come noi, prima.

 

Partiamo per il giro dell’isola, inizialmente a caso

senza cartina, seguiamo il consiglio del nostro amico

Sam che ieri ci aveva istruiti su un luogo antico

una tomba neolitica di nome Meashowe, la troviamo a naso.

 

Il primo tour di visitatori è appena partito e noi prenotiamo

un biglietto per l’una di pomeriggio, proseguendo per la strada

ci fermiamo alla cappella italiana, costruita su una landa rada

ci stiamo pochi minuti e subito giriamo la prua alla ricerca di ciò che amiamo

 

il whiskhey, l’higland park e la sua distilleria

fantastico, semplice, proprio sulla via

cercando, per la nostra stanchezza, l’unica buona terapia.

Mi piacciono i nomi che finisco in “ia”, fanno rima con poesia.

 

Acquistiamo diversi mignon, 16,18 e 21 anni, tre bicchierini così da rifornirci

di vera benzina, il nettare alcoolico per eccellenza

ma della bottiglia intera non possiamo rimanere senza

così compriamo anche un 12 anni da viaggio, quello da far fuori qui, per capirci.

 

La tappa a Meashowe si rivela noiosa e chiediamo informazioni per mangiare

una gentile signora ci consiglia uno dei pochi locali decenti

e, quando dici il mondo è piccolo, ci troviamo adiacenti

due signore che avevamo incontrate proprio nell’ultimo luogo toccatoci visitare.

 

Sono due hippie sulla cinquatina, una canadese, l’altra di glastonboury, cioè inglese

dicono incredibilmente di averci visto anche ad Edimburgo qualche giorno addietro

ci riconoscono in quanto italiani e, dopo alcuni convenevoli, ci rivelano un segreto:

di conoscere chi fa i cerchi nel grano! Tutti gli strambi li incontriamo a nostre spese!?

 

È fantastico, forse un po’ assurdo, non passa giorno senza che facciamo

incontri particolari, forse per il nostro essere, io penso probabilmente per come vestiamo

alla fine un kilt attira attenzione, nel bene o nel male

la gente è attratta parecchio da ciò che non è banale…

 

Chiedono di salutarci con un abbraccio, e le abbracciamo!

Chissà mai se le reincontreremo? Ma come per Sam la parola d’ordine è “vedremo”

qui si vive alla giornata, senza programmi precisi. Basta il tempo sereno

la musica giusta, una mappa e una bottiglia. Se tutto ciò fosse un filo, il resto sarebbe ricamo.

 

Oggi l’intreccio sembra perfetto, soffia il vento, fischia e gelido sbraita

seguiamo la costa, come circumnavigando questa piccola striscia di terra

c’è talmente tanta purezza che pare impossibile pensare alla guerra

i cervelli sono staccati, dediti soltanto a rincorrere i nostri pensieri, alla vita

 

ognuno di noi quattro ai suoi ricordi, a ciò che ha di più caro,

il mare del nord è una culla, un padre feroce di cui avere rispetto,

cui chinare il capo ed esser grato di esser nato, di aver intelletto

non solo questo aspetto che così poco conta di fronte all’intero creato.

 

Come vedete non c’è niente di particolare, oggi come ieri, come domani,

penso che ogni giorno si possa raccontare, che abbia il diritto di essere ricordato

e io grato sono nato fortunato con il solo reato di essere innamorato del fato

e di quello che ci sta facendo passare. Che malamente cerco descrivere a due mani.

 

La cima più alta di questo viaggio è stata raggiunta.

Ora si tratta di girare i tacchi e ridiscendere

verso sud. Verso l’orlo, poi il tacco e la punta.

Finché le ruote girano non v’è alcun motivo di cedere.

 

Notte… e scusate lo stupido ardire.

26th april, Orkney Islands

Avviso che questo resoconto contiene situazioni ed espressioni molto volgari. Vi prego di non leggerlo se non accettate che certe cose accadano al mondo.
Questa mattina il portiere dell’hotel ci bussa alla camera per chiederci a che ora vogliamo lasciare la stanza. Annunciamo di essere quasi pronti, così lui prende l’iniziativa e ci offre un whiskey, che accettiamo volentieri. Per berlo ci porta in camera sua. Assaggiamo il whiskey, che poi whiskey non era, e ci chiede se vogliamo pippare della cocaina assieme a lui. Rifiutiamo educatamente tornandocene in camera ma dopo pochi minuti c’è già qualcuno che bussa nuovamente alla porta. È ancora il portiere, questa volta leggermente più agitato, che ci chiede se siamo tutti “straight”. Essendolo, diciamo sì, siamo “straight”, cioè non siamo gay (o la più fine “invertiti”, come soleva chiamarsi Borroughs) e lui dice che è un peccato, un vero peccato, perchè il suo moroso in quel momento dormiva e lui, dopo aver pippato, aveva tutte le intenzioni di farsi montare da qualcuno. Poverino, ovvio, le droghe eccitano ed è comprensibile. Ci dispiaceva ma non potevamo fare nulla per lui. Se ne va a malincuore e dopo cinque minuti ci riapre la porta della camera con il suo passepartout. Dice che si era dimenticato di chiederci se non fossimo nemmeno bisessuali o comunque se eravamo proprio sicuri delle nostre affermazioni. Probabilmente non era poi così convinto. Bene, domandare è lecito, rispondere è cortesia. Non siamo nemmeno bisex, almeno così giuriamo tutti e quattro di fronte al tribunale della paura e ci facciamo uniti come i pinguini durante le tempeste polari più rigide. Usciti dalla camera mi si fa presto incontro la signora delle pulizie che mi passa un cellulare. Dice: “vuole te”. All’altro capo di chissà dove c’è il padrone dell’hotel che vuole sapere dove diavolo sia Cammy. Chiedo alla signora delle pulizie chi sia questo Cammy e lei mi suggerisce che è quello che sta cercando di portarmi a letto. Dico al padrone dell’hotel che è tutto a posto e che Cammy in fondo è un bravo ragazzo e che in quel momento non lo vedo e che abbiamo già pagato il conto. In realtà mento perchè vedo Cammy fuori dalla porta principale che sta chiedendo ad un gruppo di tre motociclisti qualcosa in maniera molto nervosa. Riattacco, Cammy rientra, trema visibilmente e prova ad approcciare il Puma. La signora delle pulizie mi chiede scusa un centinaio di volte, anche se non capisco a pieno il perchè. Carichiamo la macchina e non appena ci sediamo odiamo bussare al finestrino. Indovinate un po’? È Cammy con la sua ultima proposta. Mi offre 250 sterline per farsi spaccare il culo, così dice, 250 sterline per farselo mettere in quel posto. Nella maniera più autoritaria possibile, intendo per quella situazione, dico “Cammy”, gli dico “non c’è verso”. Che diamine. Non sono mica un parlamentare.
Riusciamo a partire lasciando quella gabbia di matti alla spalle. A proposito: l’hotel si chiama Park View House Hotel, 14 Hermitage Pl, Edinburgh, EH6 8AF, Scozia. 0131 554 6206.
Oggi abbiamo un sacco di chilometri da fare e iniziamo a trottare decisi verso nord. Sapete una cosa affascinante? Il cielo a cirri tozzi e radi, immense colline di erba verde con il sole che casca dai buchi nelle nuvole per disegnare originalissime ombre sui prati. Ecco una cosa affascinante. Le Highland sono affascinanti.
Arriviamo al porto con due ore di anticipo e ci infiliamo in un bar a bere birra e giocare a biliardo (si può scrivere anche bigliardo). Sul traghetto leggiamo un po’, mangiamo un po’ e guardiamo un po’ di Manchester-Shalke04. Alle 20.30 siamo alle Orcadi. Ciao ciao civiltà. Dopo un breve giro sul mare del nord ci buttiamo in un pub. Siamo ancora vestiti con i kilt, ovviamente non li vogliamo più mollare e la gente ci guarda male per la prima volta. Temiamo seriamente di essere presi a cazzotti da un momento all’altro. Facciamo amicizia con Sam, un signore di cinquantasei anni completamente ubriaco. Ci diamo appuntamento per domani sera allo stesso posto ma non so se né noi quattro, né lui, riusciremmo mai a mantenere la parola.
Ora sono a letto e sto scrivendo al solito mentre i ragazzi riposano e in un improvviso impeto di sonnambulismo il dandy si alza e mi dice “descrivilo” e se ne torna a dormire. Boh, non so cosa e se l’ho fatto, spero di sì. Per oggi ne abbiamo viste abbastanza. “Fidatevi di me”. Buona notte da Stromness.

25th april, Edimburgh

Se la Scozia dovesse essere un film hollywoodiano di serie B, Edimburgo sarebbe Rocky, mentre Glasgow sarebbe Ivan Drago. Tutti sanno già a priori che vince Rocky perchè è più umano e passionale e più scuro di capelli. Allo stesso modo, tutti snobbano Ivan Drago perchè troppo bello, troppo preciso, biondo ed insensibile nei confronti di Brigitte Nielsen (non illudetevi, il film non è una metafora sulla guerra fredda; è come dico io). Edimburgo è una delle città più scure che abbia mai visto. E’ gotica e tetra con impensabile signorilità. E’ una villa vittoriana spaccata da montagne, segnata dall’industrializzazione, unta dall’alcool e suonata dagli artisti di strada. Come dottor Jeckyll ed il signor Hyde, vive nella stessa realtà, su due livelli paralleli che si ignorano l’un l’altro ma sono fisicamente visibili. Potrei dire che è leggermente surreale, anche, e comincio davvero ad avere il sospetto che la sporchino apposta al fine di farle mantenere quell’aria da artista strafatto che si gongola nella sua non conformità verso le regole. Faccio notare che a Glasgow non ci ho mai messo piede, ma il solo fatto di essere ad Edimburgo mi consente di snobbare Glasgow. Sia chiaro: non è comunque tutto oro quello che luccica. Oltre ad Irvine Welsh, questa città ha dei mezzi pubblici davvero sopravvalutati. Mi chiedo cosa sarebbe oggi Irvine Welsh se non avesse mai vissuto in questo posto. Anche Stevenson era di Edimburgo. Ma Steveson è uno dei più grandi scrittori del mondo, di sempre, della storia della nostra stupidissima civiltà e mi chiedo allora se sia il posto a render speciale una persone o viceversa. Forse non c’è nessun nesso perchè non è la bellezza a dipendere creatività. Semmai l’esatto opposto. Sì, la bellezza esiste già a priori in forme incontrollabilmente perfette che la creatività riesce ogni tanto a catturare. Va bene, torniamo a noi.

Cominciamo la giornata comprandoci un kilt, uno sporran, dei calzettoni, insomma un bel completo scozzese, confermando i pettegolezzi di ieri. Vaghiamo per la città senza meta finchè dopo pranzo decidiamo di dividerci. Dandy e Capitan Puma vanno in visita al castello mentre io e lo spirito del Fred ce ne andiamo per i fatti nostri godendoci la bella giornata di sole. Per un paio d’ore faccio la cosa che più mi piace in assoluto: spio la gente. Ricordo di aver studiato almeno un migliaio di passanti speciali. Adesso potrei elencare più tipi di passanti speciali io che gamberi Benjamin Bufford Bubba, se solo volessi. Una volta stufo gironzolo ancora un po’ per il centro e finisco con l’addormentarmi per terra di fronte all’ingresso di una chiesa. Mi sveglia una telefonata del Dandy, così sprono a mia volta lo spirito del Fred e tutti assieme andiamo a bere un altro whiskey inedito: Glenkinchie, single malt 12 anni delle lowland. Piace a tutti. Torniamo in hotel e ci prepariamo per la vestizione, andiamo a cena vestiti in tartan, di tutto punto, non ci facciamo mancare niente. La cena dura poco e io sto cominciando ad avere meno appetito da un paio di giorni a questa parte. Porca miseria, i ragazzi divorano che è un piacere. Dopo mangiato ci concediamo un ultimo goccetto e opiniamo per un rientro a piedi. Ci accorgiamo di esserci dimenticati le chiavi della stanza in stanza, probabilmente perchè troppo esaltati per il vestito nuovo (che è la cosa più kitch del mondo, lo so, e allora?) e quando suoniamo il portiere ci accoglie letteralmente con questo epiteto: “bastards”. La camminata si è rivelata bella lunga e ora vado a dormire, domani ci attende un lungo viaggio, andiamo diretti alle orcadi e già ero stanco ieri, figuriamoci oggi, e con la scusa di questo diario faccio quasi sempre tardi e poi mi lamento e mi addormento di fronte alle chiese e non mi va e, niente di personale, ma è meglio che chiuda.

24th april, Edimburgh

Giallo e giallo e giallo. Lasciamo York intorno a mezzogiorno e ancora navighiamo dentro tavolieri di risotto allo zafferano. Ogni cosa è illuminata. La strada verso nord è stupenda, ci perdiamo lungo percorsi nascosti nella colza. Secondo Kandisky il giallo è il colore dell’irrazionalità e in musica corrisponde al suono di una fanfara o di un insieme di ottoni. Lo spirito del Fred è tutto contento quando gli accenno questa cosa perchè lo spirito del Fred ama le fanfare.

Sul vascello di capitan Puma, però, facciamo suonare gli archi del Vivaldi e ci sentiamo tutte le quattro stagioni, nonchè alcune sonate per violino. Sentire la primavera in primavera ha sempre il suo fascino, specialmente se si ha la fortuna di rimanere a bocca aperta di fronte allo spettacolo gratuito della natura.

Prima di arrivare ad Edimburgo abbiamo un paio di faccende da sbrigare. Visita al vallo di Adriano e breve sosta a Jedburgh, alla sua bellissima cattedrale chiusa e a pagamento. Come ci dicono i cartelli, il vallo di Adriano è un cinturone bassissimo di pietre costruito intorno al 122 dopo Cristo (ne approfitto per far Lui gli auguri di ricorrenza del Suo secondo compleanno) che serviva a delimitare i confini del vecchio impero romano ed in tempi più recenti è servito all’Inghilterra per accaparrarsi un patrimonio dell’unesco da poter sfruttare. Alle diciassette e spicci infrangiamo l’imene della bella signora Scozia, immortalando l’uscita dalla Britannia con una foto che ci scatta lo spirito del Fred.

Edimburgo è una città bellissima e consiglio a tutti quelli che amano le città bellissime di andarla visitare. Desiniamo a base di ottimo salmone locale in un ristorante del centro ed assaggiamo un whisky nuovo ai nostri palati: Edradour, single malt dieci anni. Dopo cena ci buttiamo per locali. Sfidando la sorte ci ripresentiamo al “three sisters” e questa volta, invece di un’inaspettata festa gay, troviamo un gruppo di quattro ragazzi che suonano pezzi loro. Mi piacerebbe segnalarveli, perchè erano bravi davvero, ma prima dovrei ricordarmi come diavolo si chiamano. La pacchia dura poco e quindi siamo costretti a muoverci nuovamente finendo in uno scialbissimo club hip-hop/dance/house/jungle. Non ho voglia di ballare e la stanchezza mi spacca le gambe. Decido così di andare a morire in solitaria sui divanetti ma è un errore. Reindirizzato da quel bastardo del Puma, un giovanotto sui venticinque, che si professa in primo acchito assolutamente non razzista, comincia ad attaccarmi un bottone interminabile. Dice che la musica che tutti stanno ballando è da scimmie, non capisce come le persone normali possano ballare quella roba da negri e che l’avvento della terza guerra mondiale, a suo dire, libererà una volta per tutte le scimmie dal mondo e l’uomo bianco da questa musica tribale. Gli dico che non ho proprio risposte, che alla fine tutto può essere, ma mi guardo bene dal chiedergli perchè allora fosse lì anche lui insieme a tutti gli altri. Usciamo e dopo aver aspettato per cinquantacinque minuti un bus notturno che probabilmente non esiste ci buttiamo su un taxi e arriviamo finalmente in hotel. Domani gireremo meglio la città e si vocifera compreremo un kilt.

23rd april, York

Cominciamo il viaggio con un addio, si saluta quasi definitivamente il buon Jun il quale ci avverte di aver ricevuto in regalo una camicia da donna che io e Capitan Puma avevamo comprato per lui non meno di due giorni fa. Probabilmente non siamo le persone migliori per scegliere un regalo e ne prendiamo atto. Alle dieci e trenta ora Greenwich ci imbarchiamo sul vascello di Capitan Puma, direzione nord. Direzione precisa York, prima tappa, per essere precisi, York inglese. Sia mai. L’equipaggio comprende me, er Dandy, Capitan Puma, per l’appunto, e lo spirito del Fred. Ci accompagna musica italiana, una compilation delle 100 migliori canzoni (decisamente opinabili) acquistato a suo tempo da me medesimo sottoscritto lo scrocchiazeppi in un becero autogrill tosco-emiliano, nell’adorato viaggio verso la dolce calabria. Veleggiamo per più di cinque ore in un oceano di campi gialli e verdi, onde di colza e risacche di erba divise da grigie e profonde vene d’asfalto. La bellezza del colore è cosa oggettiva. Perdo un buono scatto sul tragitto, un cartello bianco su campo ciano che riporta “jesus is lord”. Avrebbe fatto effetto, sicuro, specialmente in periodo post quaresimale, così mi mangio le mani. La fotografia, si sa, è cogliere l’attimo, cioè rendere significativo un momento banale, ma lo spirito del Fred mi suggerisce di non starci troppo a pensare perchè altrimenti potrei uscirne pazzo per niente. Alla fine ogni giorno migliaia, milioni, miliardi di persone si perdono la bellezza della cose che ci circondano senza lamentarsi più di tanto. Giungiamo a York con alcune gocce d’acqua, significative o no, ci puliscono il parabrezza gratuitamente. 28 Clifton road. Ammariamo e siamo subito in centro. La pioggia svanisce e ci concediamo un giro sul fiume, noleggiando una barca. Una barca vera stavolta. La barca vera si chiama Rebecca e sorrido perchè è il nome della meravigliosa creatura del mio amico Nicola. Ci sono un sacco di momenti in cui si può pensare che la vita non è poi così male. Molliamo la barca, la barca vera, e andiamo a cena. Ora scrivo leggermente ubriaco, siamo in camera e Capitan Puma riposa, seguito dal Dandy che russa in maniera veramente originale. Lo spirito del Fred è nel letto a castello, probabilmente a pensare ai ricordi. La moquette mi fa male ai gomiti, scrivo sdraiato a terra e domani ci attende Edimburgo. Non vedo l’ora di togliermi di dosso quest’Inghilterra. Notte.