20 Agosto – (non)Itaca

Non viaggiate. Lasciate perdere, date retta, ogni posto nuovo è uguale all’altro, come dicono i saggi, ogni mondo è paese, ogni paese è verità. Rischiate solo di rivedere gli stessi personaggi, la stessa gente, le stesse abitudini ovunque, recitate da pupi o marionette con muscoli di faggio e anima in fil di ferro, gonfi d’empietà, interessati e interessanti per l’unica, parsimoniosa, circoscrizione che così magnificamente rappresentano: la pantomima del banale, in atto sin dalla notte dei tempi. Non viaggiate, state a casa, da chi vi protegge e vuol bene. Da coloro i quali vi conoscono per idee maturate in anni di aspettative già scritte e costruite. Da coloro i quali vi addolciranno indicandovi i sentieri più comodi e meno arditi, arridendo alla rinuncia. Non trascendete. Lasciate andare i pazzi e gli illusi avanti a voi, che loro già si tutelano di mera fantasia. Lasciate che raschino il barile del fallimento con i loro stupidi desideri irrealizzabili. Lasciateli correre dietro ad amori, luoghi e pensieri fittizi, tanto prima o poi si stancheranno. Non viaggiate, c’è troppo da scoprire. Dove pensate di andare? Il mondo è avaro, cercherà di togliervi tutte le cose belle che avete raccolto lungo la strada. State chiusi dentro voi stessi, non abituatevi a rincorrere qualcuno o qualcosa, specialmente un sogno. Non accettate sacrifici. Serrate i boccaporti ed immergetevi negli abissi delle vostre convinzioni, lontano dalla bolina del rischio. Il destino sarà sempre dietro l’angolo, pronto a ingannarvi. Non viaggiate. Le monotonie di un luogo son cagione già più che valida per evitarne altre. Cosa andate cercando? Non viaggiate. Rischiate solo di accorgervi della paura, del suo grosso cappello e dell’ombra che proietta nel nostro piccolo cortile. Andate a chiudere il lucchetto. Non ascoltate i richiami del cuore, benché sinceri, sono eco di conchiglie vuote, accasciate su fredde spiagge d’Albione. Non muovetevi, imparate dai sassi. Hanno tutto ciò cui necessitano a portata di mano, compresa la consapevolezza che, prima o poi, qualcuno di passaggio li scaglierà a pedate in un posto migliore. Guardatevi intorno, guardate quanti sassi vi circondano. Dove non c’è acqua che scorre il riarso fondo del fiume si e vede meglio. Li scorre sottile la verità, con quel suo sapore di fonte, amaro ed imbevibile, duro a deglutirsi. I sassi spuntano e paiono schiacciati, accatastati. Ecco la loro casa: Il passato. È il letto di un rigagnolo in secca, non più navigabile. Ha segnato il suo percorso nel tempo di modo che, voltandosi, ognuno possa capire da dove proveniamo, senza però potervici far ritorno in alcun modo. Nel presente, il suo estuario, l’acqua stagna immobile e stanca ed il mare, l’infinito futuro blu che gli si para innanzi, suadente, tentatore, libero, dinamico vi aspetta. Non nuotate, non andategli incontro, un’onda potrebbe riportarvi indietro da un momento all’altro, capovolti. Cercate di galleggiare nel presente, lì non ci sono tempeste. Non viaggiate, state dentro le vostre teste, circumnavigatele in cerchio. Non bramate. Il viaggio non è che una stupida scusa, nessuno vi condurrà alla roccia dove è scolpito il fallimento. Non lottate per gli altri. Ci si può sempre auto proclamare conquistatori di un regno, specialmente dopo battaglie egoiste, combattute solo e soltanto per se stessi. Siate arrendevoli, compiaciuti e poco curiosi. Arenatevi. Torneranno altri a raccontarvi dell’oceano, altri naufraghi, altri fanti semplici zeppi di lividi e cicatrici sulla pelle. Zingari che hanno fatto di un sogno la loro stella polare. Punto luminoso fievole ma costante, che li ha guidati nel buio ogni notte, con la sua presenza fissa alta ed irraggiungibile. Non sapranno far altro che svuotare le loro casse zeppe di storie, barattandole con qualche emozione. Non concedetegliele. Avranno zigomi esaltati da lacrime dolci, probabilmente vi commuoveranno. Non fatevi impietosire. Parleranno con parole altrui e soltanto dopo che ne avrete incontrato uno capirete di essere stati tentati. Li riconoscerete. Vi diranno cosa fare, anzi, cosa non fare perché, appartenendo loro stessi al mondo dell’impossibile, faranno di tutto per condurvi in quella direzione. Vi ammalieranno con parole di poeti e cantanti conosciuti lungo i loro percorsi terreni. Lettere in bottiglia, storie con cui ubriacarsi, rinvenute in qualche posto della loro memoria. Storie bellissime a volte, quasi poesie, quasi come questa. Non leggetele.

 

 

ll viaggio finisce qui:

nelle cure meschine che dividono

l’anima che non sa più dare un grido.

Ora I minuti sono eguali e fissi

come I giri di ruota della pompa.

Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.

Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

 

Il viaggio finisce a questa spiaggia

che tentano gli assidui e lenti flussi.

Nulla disvela se non pigri fumi

la marina che tramano di conche

I soffi leni: ed è raro che appaia

nella bonaccia muta

tra l’isole dell’aria migrabonde

la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce

in questa poca nebbia di memorie;

se nell’ora che torpe o nel sospiro

del frangente si compie ogni destino.

Vorrei dirti che no, che ti s’appressa

l’ora che passerai di là dal tempo;

forse solo chi vuole s’infinita,

e questo tu potrai, chissà, non io.

Penso che per i più non sia salvezza,

ma taluno sovverta ogni disegno,

passi il varco, qual volle si ritrovi.

Vorrei prima di cedere segnarti

codesta via di fuga

labile come nei sommossi campi

del mare spuma o ruga.

Ti dono anche l’avara mia speranza.

A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:

l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

 

Il cammino finisce a queste prode

che rode la marea col moto alterno.

Il tuo cuore vicino che non m’ode

salpa già forse per l’eterno.

19 Agosto – Lascari (Lipogramma della lettera “a”)

Ho scelto di togliere le lettere che non vedrete in questo testo -eccezione che occorre più volte nel titolo- perchè oggi ci si è condotti presso Corleone ed il termine “Corleone” non contiene nessun esempio di queste. Premetto: utilizzerò persino poche “u”, sebbene sembrino segni sensibili, che meno mi duole scrivere, per rispetto. Togliere il tipo di lettere che non nomino è molto difficile, visto che sono molto comuni. Così come le cose mediocri. E le cose brutte sono spesso comuni, così come lo sono le cose mediocri che non eccellono, spengono, deprimono, rendono soli. Forse purifico lo scritto, forse lo rovino. Boh. Converrete con me, comunque un bell’esercizio. No? Con che scopo? Meglio non perdere tempo e giungere celermente verso il dunque: perchè proprio oggi, direte voi? Beh, Corleone è il simbolo dell’uomo omertoso, del reietto e dello zittito, del muto, del soccombente e del vinto. Un luogo di storie non dette, non proferite. Non c’è quindi miglior giorno per riflettere sul silenzio. Silenzio in cui nuoto, silenzio in cui si spegne il mondo, silenzio che fende e offende gorghi di idee. Di tutti e di me. Inoltre sono mesi che mi ripromettevo di scrivere togliendo invece di mettere. E’ ben più tosto, mi sfido. Come le foto in cornice, come ogni dono non ricevuto: più ometti, più impreziosisci. Non ho niente contro di loro, contro quelle lettere, ben inteso, è solo un limite debole, un distruggere congiunzioni, quindi io ci gioco. E poi le cose difficili sono incentivi per il cervello, duro pensiero. Difficile sì, direi, troppi verbi finiscono per il suffisso ostile, quello che le contiene oltremodo, e mi viene subito ostico l’uso dell’infinito. Purtroppo. Ultimo -non meno degno di essere punto d’interesse- qui sfido Georges Perec (che genio fu). In culo persino tu, Ou.li.po. (se il lettore non dovesse conoscere, cerchi pure il riferimento). Scemenze, comunque. Di questi trucchi per scrittori volenterosi è pieno il mondo. Non mi invento niente, inteso, è solo stile. Sono fiero, però, del modo di condurre le emozioni nello scritto. O per meglio dire, sono fiero del modo in cui domo il lessico e vorrei, stesso identico modo, gestire il cuore. Impossibile. Mi duole riuscirci solo qui, sul foglio, non oltre. Nel silenzio, come dicevo, tutto rende eco e diviene grosso e dolente e perde luce, e spesso tremo. Comincio con questo test: levo lettere come pensieri. Evito. Mi obbligo, certo, mi forzo, non è ciò che voglio, ne che vorrò. Ci provo. Un giorno e di nuovo un giorno e di nuovo un giorno. Scevro di lettere, non fiorito. Stride il dubbio, il lungo percorso giunge limpido e lucido e veritiero, il vento che rode il midollo. Se fuggo sempre ivi torno. Il ronzio che rende il cervello brullo. Ecco cos’è quell’eco! Un quesito semplice, cui son degno. Come sorridere, in questo momento, privo di te?

18 Agosto – Palermo

Palermo, Vucciria, Ballarò, i mercati gli strilloni e gli incontri inaspettati del Fred, la sporcizia, il caldo, le chiese e le arancine. Monreale, un matrimonio sotto l’oro zecchino. Oggi i posti sono soltanto nomi vuoti da annotare nella cartina della memoria.

17 Agosto – Palermo

Alla riserva naturale dello Zingaro prendo il sole tutto il giorno con la bocca aperta. Voglio che la luce mi entri dentro. Ci incastriamo in una caletta sovraffollata, sdraiandoci come fachiri confezionati su un letto di sassi aguzzi e inospitali. Un bambino tempesta la madre di domande, vuole entrare in acqua ma deve attendere che la digestione abbia fine. Ci sono sempre delle regole per vivere. La madre dice “ancora dieci minuti” e improvvisamente mi sento impazienete come lui. Il bambino scalpita, sbruffa, impreca per quell’ingiustizia totalmente incomprensibile ai suoi occhi. Dieci minuti. Lo vedo determinato, minaccia la madre di non voler attendere oltre. Chiede l’ora e aspetta, ferito, fissando il mare, scagliando sassi contro altri sassi, pensando al suo innocente desiderio di divertimento. Quanto durano dieci minuti di privazione? Quanto pesano nel suo petto? La nostra indole più feroce è l’impazienza, ciò che sin da creature ci fa bruciare le budella e fremere gli organi della tranquillità. Il bambino guarda il mare e aspetta. Non attenderà oltre. La sua conduzione (cognizione) del tempo sarà intransigente. Per lui, come per chi desidera, l’approssimazione è inattuabile ed inconcepibile: la fragilità ha sempre bisogno di precisione. Maturare, o sapere invecchiare, allora -verrebbe da dire- significa imparare a dilatare i tempi di attesa di tutte le prove che ci attendono, significa padroneggiare le digestioni. Cominciamo gestendo minuti, lunghi come anni, termineremo godendo stagioni, sfuggevoli come secondi.

16 Agosto – Palermo

Questa notte non ho dormito. Me ne sono stato tutto il tempo a fissare il soffitto, immobile, mentre le zanzare approfittavano di me senza che nemmeno mi ribellassi. Apatico e insofferente, a guisa di una puttanella accondiscendente. Come me il Dandy, che ho visto più volte alzarsi ad orari imprecisati della notte infastidito dal sonno singhiozzante. Non gli ho detto niente, non abbiamo condiviso l’insonnia, alla fine la notte è una cosa personale e uno spera sempre di poter tornare ai suoi sogni da un momento all’altro. Sogniamo di tornare a sognare. E poi non volevo disturbare le zanzare. Il Fred, che dormiva nel letto di fianco al mio, se l’è passata bene. Almeno così sembra. Verso le prime luci del mattino si è messo a visualizzare qualcosa di movimentato, penso, forse un concerto jazz, perché di punto in bianco ha iniziato a sciorinare note di tromba dalla bocca, muovendosi nervosamente. Quando ci siamo svegliati, per così dire, la proprietaria di casa è passata a raccogliere i soldi e ci ha gonfiati di teorie politiche abbastanza qualunquiste. La abbiamo comunque ascoltata con piacere e pazienza. Noi giovani siamo il futuro del mondo. Lasciata Marsala ci siamo diretti verso le nuvole. Erice è una cittadina strepitosa, arroccata in cima alla Sicilia più caratteristica. Ti puoi sdraiare in piazza a vedere come il mondo giri veloce poichè i cirri corrono imbizzarriti all’altezza della strada. Il campanile, immobile, si infrange contro le nuvole che gli precipitano addosso rapidissimamente, sospinte da chissà quale vento. Pare che la terra acceleri lungo il suo asse e che il tempo scorra più velocemente. Camminando nelle viuzze le nuvole ti accompagnano, sembrano dei ragazzini che si rincorrono tra i vicoli, facendosi dispetti. Sbucano da un angolo, piroettano, alzano una carta, ti regalano un po’ di umidità e ti fanno sentire in aria, a casa loro, nel cielo. È li che abitano le nuvole, nel cielo. Ci sdraiamo per lunghi attimi, fumando, godendo il momento di quel paradiso schivo ed appicicoso che ci corre attraverso. Ancora una volta la musica porta tutto il fascino del paesaggio dentro me, gonfiandolo, ingigantendolo. Ancora una volta la musica e i ricordi appensantiscono l’umidità cui siamo fatti, solidificandola nella gola. Tocca scappare dalle nuvole, guai a perdersi attraverso, e nella via di sera imbocchiamo Palermo dove ci attende la nostra amica Isabella che ci guida e guiderà per vie e luoghi di un capoluogo -si spera- meno turistico possibile. Alloggiamo di fianco alla casa natale di Paolo Borsellino. Quartiere La Kalsa. Qui vicino naque anche Giovanni Falcone. Ogni tanto dire la parola “uomini” -e nominarne alcuni- fa bene allo spirito. Gente che già appartiene alle nuvole.

15 Agosto – Marsala

Mi manca la mia macchina fotografica. Mi manca da far schifo, ne sento la mancanza. Con la mia macchina fotografica ci potrei vincere tutti i concorsi di fotografia del mondo, specialmente quelli di ritrattistica. Sono sicuro che li vincerei e anche la mia macchina fotografica lo da per scontato. È molto perspicace e delicata e ci sono affezionato, per questo oggi ne scrivo. Perché, un po’ per colpa mia, un po’ per colpa sua, è rimasta a casa, ad Itaca. Oh se qualche Lestrigone dovesse provare a rubarmela! Lo ucciderei. Saranno i posti bellissimi che sto visitando, il viaggio, il fatto di sapere di non averla con me, non so, anzi lo so, mai come oggi mi è mancata la mia macchina fotografica. Penso che sia un ingiustizia che ad un fotografo, anche se dilettante, venga privata la possibilità di andare in giro con la propria macchina fotografica. Ogni uomo dovrebbe avere il diritto di andare in giro con la sua macchina fotografica. La mia macchina fotografica, giusto per farvi capire l’importanza, mi permette di vedere le cose diversamente. Io guardo il mondo attraverso di lei e lei mi restituisce un’immagine ammaliante e romantica, che nasce solo dall’unione delle nostre forze. È la mia visuale abbellita dalla sua. Uno sguardo nettato. Chi rinuncerebbe ad un mondo più bello se solo ne avesse l’opportunità? Certo, ci sono altri modi per vedere il mondo diversamente –ad esempio l’alcool- ma non è la stessa cosa. In molti casi –ad esempio l’alcool – si porta la propria percezione ad un livello inferiore, un sotterfugio. E’ sempre un trucco, ma lavora in maniera più subdola. E allora il mondo ci va bene per difetto. Ci va bene ugualmente, chiaro, ma non è un migliorarsi, è soltanto un miserevole adattarsi. Con una macchina fotografica, invece, fermi un momento di bellezza che nessuno potrà mai più rubarti, momenti talmente belli, a volte, da essere insopportabili. Con la mia macchina fotografica ho fermato dei momenti talmente belli da costringermi a scappare da lei, per esempio, nascondendo quante più immagini potevo dentro la testa. A proposito di testa. Stamattina il Dandy mi ha tagliato i capelli sotto la supervisione del Fred. Erano entrambi concentrati su di essa, sulla capoccia, come se contenesse qualcosa di importante, ma ben so che –al pari di tante, tante altre persone– erano interessati solo all’esteriorità della faccenda (…a ragione, ci mancherebbe). Sono due ragazzi d’or, stasera ho detto loro che se fossimo gay sarebbe un mondo da favola. Alla fine il taglio ha lautamente soddisfatto e sorpreso tutti e tre. Ero già abituato a tagliarmi i capelli da solo tipo pazzo isterico ma, come per l’esempio dell’alcool e della fotografia, le soddisfazioni non sono paragonabili davvero, se non condivise. Andatelo a spiegare ad Alexander Supertramp per cortesia. Dopo il taglio di capelli siamo andati alle saline, vicino a Mozia, ancora inconsapevoli di dover passare uno dei pomeriggi più piacevoli trascorsi sin’ora. Niente di speciale dal punto di vista del turista medio ma… dato che tutto il sito era chiuso e la via di accesso ai mulini era proibita, abbiamo dovuto inventarci qualcosa per accendere la giornata. Come nei migliori racconti d’avventura per bambini, abbiamo rubato una zattera (una zattera, cazzo! Una zattera!) e attraversato il canale di nascosto, in barba ai padroni rognosi e cattivi. Camminando tra gruzzoli di sale alti tre volte noi, nella solitudine del mare ridotto alla sua essenza, accanto a vecchi mulini fatiscenti, all’ombra di un tramonto rosso e ventilato, non c’era niente di più bello al mondo del silenzio che soffiava sulla nostra faccia tosta.

14 Agosto – Marsala

Siamo sbarcati a Marsala in tre, senza camicie rosse. Nel parcheggio vicino al centro ci ha accolti la padrona di casa un po’ brilla con un mucchio di assi del cesso nel portabagagli. Le abbiamo interrotto una cena con amici –ha sostenuto- eravamo in abbondante ritardo. Abbiamo speso tutta la giornata ad Agrigento. Prima visitando la valle dei templi, poi la casa di Pirandello, poi la pizzeria fuori dalla casa di Pirandello e poi la scala dei turchi fino a goderci il tramonto sul suo candido e sporchevole biancore. Siccome ieri eravamo stanchi stanchi stanchi stanchi e siamo andati a dormire tardi tardi tardi tardi e ci siamo svegliati molto in anticipo rispetto alle nostre abitudini e la giornata è stata intensa, questa sera andiamo a dormire presto presto presto presto. Non so ancora dirvi com’è Marsala ma in piazza c’è una libreria aperta anche di notte e ci siamo comprati un sacco di libri. Saltata cena siamo riusciti a elemosinare un gelato da un locale in chiusura. Brioches con gelato. Per immagini la cosa più volgare e sensuale che abbia mai mangiato. Quando e se mai ne avrete il piacere dell’assaggio, l’analogia vi balzerà felicemente in testa in meno di un secondo. Ora Dandy e Fred litigano sulle tecniche di lavaggio in lavatrice. Volevano fare una cosa comune ma sembra che le divergenze concettuali sul modo di trattare i capi nuovi e/o delicati siano troppo distanti per trovare la via di un unico, amichevole lavaggio collettivo. Per fortuna ho già lavato tutto a mano. La luce intanto continua a saltare. Quanto è importante la luce. Dal terrazzo dell’appartamento, sulla facciata antistante, usando le ombre cinesi, siamo riusciti a creare due occhi giganteschi, dandogli perfino un briciolo di personalità. Occhi spaventati o assonnati. Strabici al massimo della pratica. Chissà cosa vede un occhio fatto di ombra.

13 Agosto – Agrigento (Girgenti)

Mi è capitata una cosa singolare. Circa vent’anni fa, durante un viaggio in Umbria con i miei genitori, conobbi una coppia di Agrigento che condivise l’albergo con noi per una settimana e quest’oggi, nel tardo pomeriggio, siamo finiti in un bed and breakfast dove c’era questo signore fuori dalla porta che ho riconosciuto come parte di quella coppia e l’ho interrogato sulla sua identità e ho avuto ragione e siccome anche lui poi si è ricordato di me nonostante i baffi, i centimetri, i villi e i peli sulle gambe in più siamo andati a bere il limoncello e mangiare fichi d’india con marmellata di ciliegie a casa sua dopo cena e c’era anche sua moglie ovviamente e loro hanno chiamato a casa mia che era già mezzanotte passata e i miei hanno preso un colpo ma poi si sono scambiati i convenevoli su come sia piccolo il mondo o bizzarra la vita. Oggi abbiamo fatto un sacco di cose. In mattinata siamo stati a Siracusa a cercare la tomba di August Von Platen. Non l’abbiamo trovata perché il museo dove è custodita è una schifezza. In compenso abbiamo fotografato di nascosto un libro sulle tombe, le epigrafi e gli epiteti siciliani, di modo che il mio amico Stefano possa meglio scrivere la sua tesi su August Von Platen. Ci rimane comunque da capire come mai Mussolini usasse invitare a Siracusa la gente quando voleva fare bella figura. Dopo aver gironzolato per i fori antichi e per il centro siamo andati a Ortigia, cioè l’appendice affascinante e delicata di Siracusa. La sua piazza è sublime, specialmente quando i bianchi del marmo e del porfido spaccano il cielo blu con prepotenza. Mi ero preparato un discorso sulle letture che stiamo facendo io ed i miei amici ma ora sono stanco stanco stanco stanco stanco e non ho molta autonomia quindi facile che ve lo proponga domani o dopo. Pochi minuti fa, in chiusura di locale, ho chiesto una bottiglietta d’acqua alla barista la quale, per accontentarmi, me l’ha lanciata maldestramente facendo esplodere a terra tutti i bicchieri del bancone già puliti e ordinati. Mentre raccoglievo la bottiglia e sorseggiavo tutto contento l’acqua fresca (avevo molta sete) un tizio sull’uscio del bar mi ha rivolto almeno una ventina di bestemmie pulite pulite senza nessun intercalare. Le diceva lentamente, come se avessi dovuto interpretare il suo disappunto e la sua rassegnazione. Immagino che secondo lui non si debba servire più da bere quando la cassa è chiusa. Stanotte dormo in un letto a castello. Devo ancora risolvere il problema di posare il computer, andare al bagno e tornarmene a dormire quando finisco il diario.

12 Agosto – Giarre

Non ho voglia di scrivere di oggi. Non ho voglia di scrivere di gente allegra, di persone sulle spiagge, di feste di paese, di sagre, di nottate d’estate, di sole, lune, falò, di dorature dermiche e di musica. Non ho voglia di scriverne e specialmente non ho voglia di pensarne. Non ho voglia di risentirmi abulico come questa mattina quando l’Etna fumava, agitatissimo al suo interno, perennemente irrequieto. Le strade si ricoprono di fuliggine nera e la gente, instancabilmente, la spazza. Presenza costante, ricordo della distruzione che prima o poi attenderà tutti. Tutti. La gente scopa le strade facendo finta di niente, dimenticandosi la propria fragilità. Forse è giusto così. Le giornate al mare mi uccidono, mi costringono ad interrogarmi su chi sono, cosa sono, cosa faccio e cosa dovrò fare. Risposte che, fra l’altro, ignoro completamente. Prima di cena andiamo ad Acitrezza. C’è poco da dire a riguardo, al cospetto del Verga preferisco tacere. Infine Catania. Bellissima città, unica nota veramente positiva della giornata. Ci infiliamo in un vicolo pieno di gay a bere whiskey. Le persone sono sempre straordinarie da osservare, eppure -incredibilmente- non c’è mai nessuno all’altezza dei propri desideri. Mai. Specialmente all’apparenza, unica ed ignobile dote di rilievo di questo merdoso, agitatissimo secolo.

11 Agosto – Giarre

Oggi non ho toccato neanche una Winston. L’idea di procurarmi un bel cancro a gratis mi fa accapponare la pelle, così ho fumato tutto il giorno Camel acquistate qualche tempo fa. Converrete che l’idea di avere qualcosa senza faticare o essersela sudata non è affatto accattivante. Come siamo fatti male. Ieri il Fred, dopo la caduta in bagno, ci ha spiegato che il corpo di ogni essere umano si irrigidisce quando casca per terra e si paralizza per qualche secondo in modo da gestire eventuali traumi. Immagino fila di gente spiaccicata per terra con il corpo che sussurra “aspetta un attimo. Sei sicuro di essere pronto a camminare? Non è ancora ora di alzarsi”. Apro gli occhi con una lunga colata di bava sul cuscino. I miei compagni sono scesi a fare colazione lasciandomi dormire. Prima di lasciare Taormina decidiamo di visitarla. Dopo aver fatto un giro in centro saliamo la via del castello. C’era un bel film che ho visto qualche anno fa che si chiama “the believer” e nel film, non ricordo in che senso, il protagonista percorreva vorticosamente una tromba di scale come a trottolare nella sua coscienza. Se in vita vostra avete mai provato a percorrere una lunga scala tortuosa capirete di cosa diavolo stia parlando. (Penso che la scena sia stata rubata ad un film di Olivier che rivisitava Shakespeare, quando Amleto sale un’infinita rupe a ridosso del mare per andare a recitare il famoso monologo sull’esistenza, ma potrei sbagliare tutto, film compresi). Il punto è: la scalinata cocente sotto il sole allo zenit per arrivare al castello di Taormina richiamava proprio quel genere di cose introspettive. Salendo metto le mani sui fianchi, il sudore li ha resi freschi e morbidi e il pensiero va subito alla donna. Ad una donna. Dalla vista sulla piazzetta, tutto è più chiaro. Il mare è golfo, i bagnanti sono puntini insignificanti e l’orizzonte è una linea netta. Sul balcone panoramico facciamo l’incontro più bello della giornata. Giovanni Ponturo compie oggi 75 anni, almeno così dice. Comincia a parlarci di Taormina sotto il fascismo e noi ci incuriosiamo subito, attaccando bottone. Ha la braccia martoriate di cisti o gangli giganteschi, sembra sia fatto d’uva. Vorrei raccontarvi per bene ogni cosa che ha snocciolato ma mi è difficile –e vi annoierebbe- riassumere in prosa tre ore di discorso ininterrotto. Per darvi qualche assaggio, per rendervi il personaggio più appetibile e meno irreale, posso dirvi che il signore qui citato parla quattro lingue, ha vissuto più di quindici anni a Parigi per amore di sua moglie che non avrebbe potuto altrimenti sposare in Italia, è stato investito e mandato in coma da uno che di cognome faceva “Sicilia” (guarda la vita che simpaticona), aveva un fratello praticamente uguale a Tony Curtis con dei capelli talmente belli e delicati da dover usare due tipi di brillantina diversi (dura per i lati e morbida per il ciuffo). Giovanni faceva i cocktail più buoni del mondo per i suoi clienti americani, negli anni quaranta guadagnava più di un acre di terreno al giorno, sua madre –da lui odiata- gli rubò settantacinque mila lire dal cassetto e gli scambiò i vestiti con quelli del padre poche ora prima di dover partire per chissà dove; venne accusato di essere ladro e ne uscì a testa alta; mai nessuno –nemmeno Dio in persona- avrebbero potuto permettersi di dargli del bugiardo e del traditore; un giorno vinse al totocalcio centoventi mila lire quando ancora le lire valevano uno sproposito, ha sempre ambito –sin dalla gioventù- ad amicarsi gente più intelligente al fine di imparare qualcosa ed infine scoprì di essere persino preveggente. La maggior parte di queste cose elencate è vera. Per il resto vi consiglio di venire a trovarlo. Se è in gamba come penso, salutatecelo. Si ricorderà di noi.
Lasciato il vecchio arriviamo a Giarre che sembra ed è un paese bruttissimo, privo di cose da vedere e poco accogliente ma la nostra idea è di sfruttarlo come punto di appoggio. Soggiorniamo in un cortiletto accanto ad un negozio di capigliature. Non è un hotel ma una specie di appartamentino. Ora è tardi, siamo appena rientrati da un giro ai giardini Naxos, altro posto spregevole e mediocre, dove abbiamo sentito della musica spregevole e mediocre. Do vita ad una delle ultime Camel, ho quasi finito il pezzo e fra poco lo rileggo da capo per vedere se ho fatto errori. Il giardino qui di fronte è buio pesto.