Cesare Zavattini – Parliamo tanto di me

Sul tavolo da lavoro ho pochi oggetti: il calamaio, la penna, alcuni fogli di carta, la mia fotografia. Che fronte spaziosa! Cosa mai diventerà questo bel giovane? Ministro, re? Guardate il taglio severo della bocca, guardate gli occhi. Oh, quegli occhi pensosi che mi fissano. Talvolta provo una viva soggezione e dico: sono proprio io? Mi do un bacio sulle mani pensando che sono proprio io quel giovane, e mi rimetto a lavorare con lena per essere degno di lui.

DUE PAROLE

Ingannato, leggermente ingannato da questo strepitoso incipit, pensavo di trovarmi di fronte ad un libro ironico, spaccone. Vi è molto umorismo in Zavattini, ma di un taglio più lirico, forse onirico, se mai al mondo esista un ironia onirica. Il romanzo (ma è un romanzo?) richiama un viaggio a metà fra la Dantesca divina commedia e il Natalizio racconto di Dickens. Il protagonista viaggia volando fra vari brevi capitoli, quasi cuciti fra loro, arricchiti da brevi spunti morali o di spirito.