Chinua Achebe – Le cose crollano

Mentre mangiavano e bevevano, si misero a discutere delle usanze dei loro vicini. “Proprio questa mattina,”disse Obierika, “Okonkwo e io stavamo parlando di Abame di Aninta, dove gli uomini di titolo si arrampicano sugli alberi e pestano gli ignami per il fufu per le loro mogli. Fanno tutto all’incontrario. Non decidono il prezzo della sposa con i rametti, come facciamo noi. Tirano sul prezzo e sbraitano come se stessero comprando una capra o una vacca al mercato.” “Che brutta cosa,” commentò il fratello più anziano di Obierika. “Ma ciò che va bene in un posto è sbagliato in un altro. A Umunso non contrattano neanche con i rametti. Il pretendente si limita a portare sacchi di cauri finché i futuri parenti non gli dicono di smettere. È una brutta usanza, perché porta sempre a grandi liti.” “Il mondo è grande,” disse Okonkwo. “Ho sentito che in certe tribù i figli non appartengono al padre, ma alla madre e alla famiglia di lei.” “Impossibile,” disse Machi. “Sarebbe come dire che la donna sta sopra l’uomo quando fanno i bambini.” “È come la storia degli uomini bianchi, che dicono essere bianchi come questo pezzo di gesso,” disse Obierika. Prese il gessetto che ogni uomo teneva nel suo obi e che serviva agli ospiti per tracciare segni per terra prima di mangiare le noci di cola. “Dicono anche che questi bianchi non hanno le dita dei piedi.” “Tu li hai mai visti?” chiese Machi. “E tu?” chiese Obierika. “Ce n’è uno che passa qui di frequente,” disse Machi. “Si chiama Amadi.” Quelli che sapevano chi era Amadi si misero a ridere. Era un lebbroso, e “pelle bianca” era l’eufemismo che si usava per indicare questa malattia.

 

DUE PAROLE

Cercavo questo libro da anni, da quando ho notato su diverse classifiche dei miglior libri in lingua inglese che questo testo compariva con marcata insistenza. Considerando pressoché irreperibile la prima traduzione italiana, sono stato piacevolmente sorpreso dalla recente uscita presso le edizioni “La nave di Teseo”.
Non è difficile immaginare perché la critica (specialmente quella anglosassone) si sia così tanto schierata positivamente verso Achebe. L’autore viene considerato uno dei capostipiti della letteratura moderna africana (importante: in lingua inglese!) e, a mio personale avviso, la natura del testo invoca anche un doveroso lavaggio di coscienza collettiva tramite questa riconoscenza. Per intenderci, lo stesso senso di colpa degli americani con i pellerossa. “Things fall part” – questo il titolo originale dell’opera – parla infatti di colonialismo, di incomprensione ed esilio. Il colonialismo inglese perpetrato nei confronti di alcune tribù del delta del Niger. Siamo in Nigeria (patria di Achebe) e per più di metà testo osserviamo la vita di uno dei più illustri uomini del clan Umofia: Okonkwo. Egli è un lavoratore inesauribile, un padre violento e spietato, ma non appena ci spogliamo dei paraocchi, Achebe ci aiuta a capire, nonostante le profonde differenze culturali, quanto egli sia in realtà una cosa precisa, ovvero un tradizionalista. Un rigido interprete della tradizione. Sotto certi versi la lettura di “Le cose crollano” mi ha ricordato moltissimo “Il gattopardo” e penso che uno dei grandi canali interpretativi dell’opera vada proprio in questo senso, ovvero il senso di rinnovo portato da una rivoluzione esterna, una “piaga” che cerca di cambiare (anche violentemente) un ambiente immutabile, ancestrale.
Ma vi è anche un senso di colpa superiore (utile, in questo caso, la fresca lettura dell’Edipo) e infatti la svolta narrativa, punto cardinale del romanzo, è l’esilio di Okonkwo dalla terra dei suoi padri, verso il clan che fu di sua madre, per un fatto fortuito; l’uccisione involontaria di un giovane del suo stesso clan. Come accadde per l’Ulisse, quando l’uomo si allontana dal focolare lascia spazio agli usurpatori, ed è proprio durante la sua assenza che cominciano a comparire i primi proci, gli uomini “bianchi”. Durante i sette anni di esilio Okonkwo vede le abitudini della sua gente cambiare drasticamente. Non soltanto gli estranei mostrano prontamente la loro forza, ma persino parte della sua stessa gente si unisce ai proseliti cristiani, abbracciando una nuova religione (in cambio di una nuova cultura!). Le cose, dunque, crollano verticalmente su due dimensioni. Quella singolare, di Okonkwo e quella generale. Lo schiaffo morale portato da Achebe è segnante. Con la simbolica immagine di Okonkwo impiccato ad un albero nel tragico finale (va notato che il suicidio, per un tradizionalista è un gesto altamente profano), l’autore punisce tutti. Punisce i moralisti, punisce i tradizionalisti e, più di tutti, gli usurpatori. Non salvando nessuno. Una lotta passiva, dal quale è impossibile salvarsi e alla quale si può solo soccombere.

 

INFO UTILI

4 ore di lettura circa
Edizioni “La nave di Teseo”, ISBN 9788893440332
In copertina un’opera di Ibrahim El Salahi – “Funeral and the crescent”.