Fernando Pessoa – Il banchiere anarchico

Aiutare qualcuno, amico mio, vuol dire prendere qualcuno per incapace; se questo qualcuno non è incapace, significa farlo tale, supporlo tale; e cioè, nel primo caso, tirannia, nel secondo disprezzo. In un caso si distrugge la libertà altrui; nell’altro si parte, perlomeno inconsciamente, dal principio che gli altri sono spregevoli e indegni o incapaci di libertà.

DUE PAROLE

Breve trittico di racconti. Il primo, che dà il nome alla raccolta, è una riflessione in forma di dialogo fra il protagonista e un banchiere che si definisce anarchico. Il più anarchico degli anarchici, in quanto sviluppa la vera anarchia di non volere obbedire né sottostare a qualsivoglia gerarchia. La riflessione, di per sé un po’ fragile, lo porta alla convinzione che l’unica libertà sia espressa dalla mancanza di giogo data dalla ricchezza, e lavora quindi per diventare quanto più ricco ed affermato possibile (“Come soggiogare il denaro, combattendolo? Come sottrarmi alla sua influenza e alla sua tirannia, senza evitare lo scontro con esso? Il procedimento era uno solo: guadagnarlo”). Una tesi labile, a mio avviso, che ruota intorno al già precario assunto dell’anarchia stessa. Il secondo, decisamente prevedibile e patinato, racconta di una macabra cena dove il gigionesco padrone di casa decide di servire come portata principale proprio coloro che avevano osato mettere in discussione i suoi gusti e capacità culinarie.
Infine un racconto recuperato da appunti dell’autore, talmente raffazzonato da necessitare spiegazioni intermedie dell’editore a congiunzione della trama. Forse un insieme di racconti unito dalla morale del potere e della decisione. Un tema sì di elevata statura, descritto in maniera inefficace, almeno per uno degli autori – se non l’Autore per eccellenza – della scuola portoghese.