La banda comunale

La banda comunale di Bellinzago suonava una ciofeca. Si trovavano a provare sopra il circolo del paese, e a sentirli da fuori, sembrava stessero torturando un povero cristiano. Un giorno passò sotto la loro finestra il famoso direttore d’orchestra Cavalier Merigliani Guido, ch’era giunto in loco per comprasi il latte. “Ma cos’è quest’acusma!” disse interrompendo il solfeggio che accompagnava rigorosamente la sua teatrale incedenza. “Fatemi chiamare subito il direttore”, e fermato il primo interlocutore trovatosi a tiro, si mise ad attendere in mezzo alla strada tutto corrucciato, braccia conserte. Il passante, che come ogni buon trullo s’imbambolava immediatamente delle altrui apparenze, salì le scale di tale prescia da inciampare nell’ultimo scalino picchiando deciso il ginocchio per terra. Si mise a piangere talmente forte da interrompere l’esecuzione della gloriosa banda comunale. “Ma cos’è quest’acusma!” sbraitò il direttore percuotendo il leggio con uno sgrugno. Infuriato com’era, scese le scale talmente di prescia da non notare nemmeno il povero tristanzuolo dolorante accasciato ai suoi piedi. In mezzo alla strada ci trovò solo il Merigliani, assorto e imbronciato come s’addice a chi ha raggiunto una posizione nella vita. “Come si permette di disturbare le prove della nostra gloriosa banda comunale?” chiese il direttore al venerabile Merigliani. “Sono il famoso direttore d’orchestra Merigliani Guido”, gli fece quello, “e qui state perpetrando crimini contro la mia patria, nonché mia sposa, mia anima e mia amante: la Musica!” sbuffò “senta lei stesso che strazio!”. Il direttore, che come ogni buon trullo s’imbambolava immediatamente delle altrui apparenze, pose la tromba d’eustacchio vicino a quella delle scale e trasalì. “Gesù!” disse “è una ciofeca!” e sbranati i gradini quattro a quattro, doppiamente infuriato, non s’avvide delle lacrime del pover’uomo appena alzatosi dal pianerottolo, ci scivolò sopra , franò a terra sul gomito e iniziò a piangere come un bambino. “Ci risiamo!” pensò il Cavalier Merigliani dalla strada. “Ecco che riprendono lo scempio!” Il passante intanto, riavutosi dal colpo, si ricordò del suo dovere e dimenticò il dolore, poiché non v’è ricompensa migliore come quella di un gesto inutile per dar entusiasmo ad un citrullo. Entrato zoppicante che era nell’auditorio, presto gli si fece incontro il primo violino. “Che è successo? Dov’è finito il direttore?”. Il dolore era mutato interamente in confusione. “Beh” disse, “l’esimio ed illustrissimo direttor Merigliani è proprio qui sotto in mezzo alla strada”. Il violino trasecolò. “Il famoso direttore Merigliani è qui a sentirci?”. Si sistemò la camicia e corse ai comandi supremi. Come ogni buon trullo, anche lui era abbagliato dal prestigio delle parole. Visto il suo direttore in lacrime, si guardò bene dal passargli accanto. Era sicuro piangesse per la figuraccia fatta a cospetto di quella immensa celebrità. Avrebbe rimediato lui all’errore. Eppure, di fronte al suo idolo, il proposito mutò in meschina reverenza e il buon violino finì per ispirare al Merigliani non altro che grame parole. Frustrato, risalì in aula con calma, ben attendo a non scivolare sulle lacrime amare asperse dal suo direttore. Trovato un cartone nei dintorni, ci diede per sfogo un calcio talmente forte da battere il pollicione contro la ringhiera. Saltellando e piangendo, si mise a stringersi la punta del piede con le palme delle mani. “Ci risiamo” pensò allora il direttore appena rientrato per la porta. Chiamò il basso tuba in fondo alla sala e lo spedì giù dalle scale a capire la situazione. Lui, da buon capo, non ci sarebbe più andato. Il basso tuba era un omone di quasi due metri. Alla vista del primo violino zoppicante, pensò che quel dolore fosse cagionato da un poderoso calcio nel sedere sferrato al bellimbusto che, ormai da minuti, molestava la loro gloriosa esecuzione. Deciso ad appenderlo per la cravatta si lanciò rotta di collo aggrappato alla ringhiera. Ma rieccoci di fronte all’evidenza: il famoso direttore d’orchestra Merigliani Guido, di ben altra statura morale, non ci pensò nemmeno di lasciarsi intimorire, e malgrado fosse in manifesta inferiorità fisica, la spuntò d’orgolio sullo spilungone, il quale, mesto mesto, tornò talmente abbacchiato verso il violino, schiacciato com’era dall’umiliazione ricevuta, da non accorgersi di una trave penzolante in corridoio. Vi battè violentamente la testa. “Ci risiamo!” pensò il primo violino, e via dicendo. La catena infatti non s’interruppe fin quando anche l’ultimo degli idiofoni ebbe compiuto il suo pellegrinaggio. Lo statuario Merigliani, allora soddisfatto, se ne andò a comprare il latte. Mai più si rivide. E il passante, assicuratosi che nessuno più stesse piangendo, lasciato l’edificio, non ricordava poiché fosse capitato in quella situazione. Si fermò in mezzo alla strada vuota e si sentì smarrito. Ad essere precisi non ricordava proprio niente. Né se fosse sposato, né se avesse figli, o bambini, quanti anni portasse o anche solo se avesse una lavatrice accesa da spegnere a casa. Non gli importava molto, ci avrebbe pensato dopo. Se ne rese conto anche lui in quel momento. La banda, lì sopra, suonava incredibilmente bene.

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