Memoria delle mie puttane tristi + Balthus

Balthus-Thérèse-rêvant-1938

 

DAL TESTO

L’anno dei miei novant’anni decisi di regalarmi una notte d’amore folle con un’adolescente vergine. Mi ricordai di Rosa Cabarcas, la proprietaria di una casa clandestina che era solita avvertire i suoi buoni clienti quando aveva una novità disponibile. Non avevo mai ceduto a questa né ad altre delle sue molte tentazioni oscene, ma lei non credeva nella purezza dei miei principi. Anche la morale è una questione di tempo, diceva, con un sorriso maligno, te ne accorgerai. Era un po’ più giovane di me, e non avevo sue notizie da così tanti anni che poteva benissimo essere morta. Ma al primo squillo riconobbi la voce al telefono, e le sparai senza preamboli: “Oggi sì.”

 

ORIGINI

Memoria delle mie puttane tristi (Memoria de mis putas tristes) – Gabrie García Márquez – 2004

Balthus (Balthasar Klossowski) – Thérèse rêvant – 1938

 

DUE PAROLE

Memoria delle mie puttane tristi è un libro debole e stanco di Márquez che affronta languidamente il tema della consapevolezza. Senza dilungarmi in descrizioni ad un testo non meritevole, propongo un racconto scritto di mio pugno molto simile al tema del romanzo. Si intitola “Rimorso senile”, eccolo.

La reputava una cosa deplorevole.
Mentre saliva le scale del motel osservava la longilinea figura di Margot perfettamente consapevole che i rimorsi sarebbero sgorgati più avanti, dopo l’eiaculazione. Non aveva mai provato un esperienza simile ma da giorni, settimane, forse mesi, non aveva altra idea nel cervello. Ed ora era giunto al dunque. L’eccitazione del proibito lo scuoteva sino alle ossa con un viscido brivido urticante. Accostandosi alla porta poggiò una mano sul fianco della ragazza. Lei aprì l’uscio e i due si accomodarono nella scialba tristezza della camera. Un’aria di imbarazzo irrigidiva i loro movimenti. Al pari di cani randagi, evitavano di guardarsi negli occhi l’un con l’altro. Meccanicamente, obbedivano al loro effimero dovere. “Non c’è niente di male” pensò l’uomo. La ragazza, intanto, aveva già preso a sfilarsi i vestiti. “Non c’è niente di male” riprese sbottonandosi la camicia. Alla luce della lampadina il suo corpo inflaccidito appariva ancora più ridicolo del solito. Osservò come il tempo aveva lavorato la sua pelle, disegnandovi una pallida maschera di vecchiaia. Villi privi di melanina peggioravano, qua e là, la visuale.
“Vuoi una mano?”
Chiese Margot mentre attendeva carponi sul bordo del letto.
“Non preoccuparti, sono già pronto” rispose lui in un sorriso mesto. La medicina, gioiello degli spreconi, aveva imparato anche a rizzare gli uccelli più rammolliti. Sospirando, fu dentro. Cominciarono a ondeggiare lentamente, come una coppia di barche ormeggiate in un porto di piacere. Il palmo delle mani dell’uomo sgorgava energia ventrale verso i lombi della giovane fanciulla. Umidi schiocchi epidermici accompagnavano lo scorrere dei secondi, come un orologio inquisitore. “Girati”, le disse.
Margot si voltò dischiudendo i carnosi cancelli. Lui le salì in grembo bloccandosi per un interminabile momento di incertezza. Passandole una mano sul viso, infine, si rivide vent’anni addietro.
“Giulia…”
La ragazza posò un dito sulle sue labbra, impedendogli di proseguire.
“No, ti prego” disse ella “così no.”
“Hai ragione”, fece il vecchio. Rientrò e, lentamente, senza amore, raggiunse l’orgasmo. Si buttò sul letto aspettando la divina punizione ma il benessere, diffuso, non scemava. Sapeva che quel piacere viscerale si sarebbe ben presto tramutato in agonia. Guardò il soffitto, cercò di distrarsi finché uno straziante supplizio non gli squarciò il petto. Eccolo, il rimorso. “Mio Dio, cos’ho fatto?” si domandò irrequieto. Pensò a sua moglie, alla sua famiglia, alla sua bellissima famigliola. Realizzò ciò che effettivamente aveva compiuto. Il passato è il peggior nemico dei colpevoli.
“Andatevene, andatevene dalla mia testa”. Cercava di scacciare quei fantasmi inopportuni. Era turbato, sudava. “Mai più”, giurò sul petto in sovreccitazione “mai più.”
Si levò dal letto disperato.
“Stai bene?” chiese Margot, la sua Giulia.
“No” rispose lui. Poi estrasse dalla tasca due biglietti da cinquanta e li lasciò cadere sul letto. Si rivestì, stordito, avviandosi verso la porta dove la giovane mano della ragazza bloccò la sua fuga vigliacca verso l’oscurità.
“Nonno” disse lei.
Il vecchio si voltò affranto.
“Non dire niente alla mamma.”
Lui rimase immobile nel buio, sotto i riflettori della vergogna.
“Per favore…” ribadì lei.
Accennando un marmoreo cenno di intesa, deglutì quel poco di dignità che ancora gli era rimasto e imboccò le scale.