Agassi – Open

Dovrei essere un altro, adesso che ho vinto uno slam. Lo dicono tutti. Niente più l’immagine è tutto. Adesso, asseriscono i critici sportivi, per Andre Agassi, vincere è tutto. Dopo avermi definito per due anni un ciarlatano, un artista del fiasco, un ribelle senza una causa, adesso mi trattano come una celebrità. Dichiarano che sono un vincente, un tennista concreto, importante. Dicono che la mia vittoria a Wimbledon li costringe a rivalutarmi, a riconsiderare chi sono realmente. Io però non credo che Wimbledon mi abbia cambiato. Anzi, ho la sensazione di essere stato messo a parte di un piccolo, ignobile segreto – vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente.

 

DUE PAROLE

Open è un’autobiografia, mi sembra quindi superfluo parlare della sua banalità. Sì, il libro è un seguirsi di Io e di situazioni in prima persona ma tutto sommato meno becera di molte altre. Nonostante ciò, fatico ancora a capirne l’esplosione editoriale, se non per la sincerità con la quale viene raccontata (ma quanti altri lo sono stati, in maniera più incisiva?) e ovviamente per la visibilità e le caratteristiche del suo protagonista. Stiamo parlando, vale ricordarlo, di uno sportivo assunto a personaggio famoso, un vip prima ancora di un tennista. Ci sono comunque delle cose interessanti (la stesura, anzi, lo “story-telling” come i recenti coglioni insistono chiamarla, è stata affidata al pulitzer J. R. Moehringer) che girano intorno ai grandi temi della narrativa e dello sport: la conflittualità con il padre, l’anti-eroismo e, infine, il valore della sconfitta. Per quanto riguarda il primo, la vita di Agassi sembra presa dalla confraternita dell’uva di Fante. Un padre burbero e sognatore, straniero/alieno trapiantato in America, che intravide la carriera del figlio (ci provò con tutti, a dire il vero) prima ancora che egli nascesse. Un’ossessivo ed un predestinato. Forse solo un pazzo, di uno di quelli che la imbroccano ogni milione di occasioni.
La seconda, che forse è quella più interessante, è la consapevolezza di essere sempre secondo a qualcuno (nel caso di Agassi, la nemesi fu Pete: Pete Sampras) nonostante si arrivi in cima alla lista. Da uno stupido elenco numerato (in questo caso il ranking ATP), così come dalla vita, non si otterrà mai la vittoria eterna. L’umiltà e l’intelligenza per riflettere (ed ammettere) sull’essere nati perdenti fa di Agassi un Don Chisciotte dello sport. Il punto sicuramente più profondo del libro.
La terza è conseguenza diretta del secondo punto. La sconfitta vista come misura di miglioramento. La spiega benissimo lo stesso Agassi/Moehringer nel trafiletto qui sopra riportato.
Leggendo la biografia, mi è tornata in mente, per assonanza, la storia della più forte scacchista di tutti i tempi: Judit Polgar. Cresciuta con un padre che pensava che ogni bambino, se cresciuto ed allenato correttamente, sarebbe potuto arrivare a livelli massimi d’eccellenza nella disciplina di suo gradimento. C’è da interpellarsi sulla predestinazione, è sicuro. Ma Agassi, ovviamente, questa possibilità non l’ha mai avuta. E’ stato costretto a scegliere il tennis, e proprio nel tennis si è espresso ai massimi livelli. Dove sta il talento e qual è la linea che divide il duro artigianato dalla maestria sportiva?
Infine la solitudine del tennista (anche qui storco un po’ il naso nel leggere come Agassi/Moehringer considerino il tennis più significativo di altre competizioni). Il bellissimo concetto dell’isolamento, degno d’una poesia dell’Acitelli nel suo “la solitudine dell’ala destra”. La sport e la letteratura, bel connubio. Soprassedendo su frasi stucchevoli e decisamente triviali (due esempi che mi son segnato: “Mio padre è un accordatore provetto. Chi meglio di lui sa mantenere la tensione?” e “La borsa del tennis somiglia molto al tuo cuore: devi sapere in ogni momento cosa c’è dentro“) Open non è nemmeno così male. Forse, e dico forse, quando la verità s’accanisce così tanto nel creare una vita curiosa (non dico speciale), potrebbe valerne la pena di raccontarla.

 

INFO UTILI

parecchie ore di lettura, credo una decina.
Lettura da kindle, cartaceo versione inglese
In copertina un quadro di André Lhote