Sheki 15 Agosto

Primo giro di lavanderia, prima giornata decisamente sotto la media. Oggi è ferragosto anche qui, certo non si festeggia, né sanno cosa sia, ma tutto sembra più tranquillo, almeno per il nostro viaggio. La brezza ci sveglia sotto le spesse coperte e quando ci alziamo Naamik è già uscito di casa. Scendiamo in cortile e facciamo colazione con la sua famiglia, uova formaggio e pane raffermo. Salutiamo, ringraziamo, paghiamo, andiamo. Al ristorante di Mikail ci attende una Lada 4×4 bianco fumante che ci condurrà fino a Sheki. Il tragitto in discesa, che in pullman era durato un’ora e mezza, si trasforma in una folle corsa da meno di trenta minuti. Siamo nuovamente a îsmayilli, diretti ad ovest lungo la statale principale. La jeep è una scatola meccanica, il pilota aziona lunghe leve nere che germogliano da sotto il volante, il cambio e la frizione e il freno, come fossero estensioni del suo corpo, parte di un marchingegno novecentesco che mangia le salite e la polvere. Il lungo serpente sterrato è zeppo di spire. Io sono accovacciato tra il Matteo Angelino e il Mattia Leonardi, e ad ogni esse mi scompongo, segnando il tempo come un pendolo tra le loro spalle. Tic tac, tic tac. Il modo di guidare degli azeri è molto simile a quello dei motociclisti, pensano di poter sorpassare in mezzo alla strada a due soli sensi di percorrenza. Accelerano forte forte non appena vedono spazio libero, per inchiodare poi, pochissimi secondi dopo, il più vicino possibile alla macchina che li precede. Non fanno gli stop, si accarezzano i finestrini come teneri amanti e chiedono strada lampeggiando a guisa di ambulanze. Per farvi un esempio, il nostro autista è riuscito a sorpassare ad una pompa di benzina la macchina che stava cercando di fare rifornimento prima di lui. Grazie a questo asso del volante arriviamo a Sheki nel primo pomeriggio con lauto anticipo. Sappiamo già dove andare, perché l’hotel ci è stato consigliato da Mikail. Il posto dove alloggiamo, a differenza della cittadina, è spettacolare. Si tratta di un vecchio caravanserraglio ristrutturato. Chinando la testa per varcare il portone principale, una volta in mattoni a vista con una piccola fontana nel centro si espande sopra le nostre teste. Poco più avanti, nella corte lunga una trentina di metri, le stanze si nascondono sotto piccoli portichetti dove, con buona probabilità, i cavalli dei viaggiatori hanno riposato i loro muscoli centinaia di anni fa. Nemmeno qui abbiamo connessione (la troveremo alcune ore dopo, rubandola ad una rete libera di una farmacia) e andiamo ad esplorare il resto del paese. Sulla cima più alta della collina di Sheki sorgono le mura del palazzo del Khan. Non ci impressionano, tutto sembra artificioso, poco caratteristico. Facciamo la conoscenza di due ragazzi Polacchi in arrivo dalla Georgia e subito penso ad Alessandro ed Ewelina e al fatto che, non fossi stato qui dove mi trovo ora, sarei a bere fiumi di Vodka per brindare al loro matrimonio. Na zdrowie, amici! La città vecchia continua a non soddisfarci, scendiamo al centro per bere una birra. Non c’è, in giro, l’ombra di una donna. I caffè sono gremiti di avventori che fumano sotto i loro baffi. I più giovani ci scrutano curiosi e spesso vengono a chiederci di provare una delle nostre sigarette. Sembrano interessati al fatto che, al fine di fumarle, siamo costretti a leccare cartine appiccicaticce. Finita la birra risaliamo verso la nostra stalla. Un po’ di biada, magari un’altra birra, un’altra ancora. Stasera ci concediamo riposo e proviamo a rigenerarci. Domani abbiamo intenzione di valicare la frontiera a piedi e zaini in spalla.

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