Day 04 – Mocanita / Botiza

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Questa mattina non ho fatto in tempo a controllare le dimensioni del naso, la sveglia è suonata prestissimo, alle 4.30. Ci siamo messi in macchina prima dell’alba per raggiungere, in circa tre ore, l’ultima ferrovia a vapore funzionante della Romania. Dalla stazione di Mocanita, partono giornalmente una manciata di treni sgangherati trainati da vere locomotive a legna. Il percorso si snoda in una verde valle accompagnata da ruscelli e raggiunge un largo nel bosco dove qualcuno dice vivano degli orsi. Nel lento inerpicarsi il panorama ci regala profumi di resina e di tronchi sbucciati, le donne lavano i panni nel fiume e qualche proprietario miete i prati ruotando meccanicamente la falce. Oltre a questo scorcio di storia ferroviaria (sicuramente più turistico che funzionale) il sistema di trasporto rumeno non ci è sembrato affatto dei migliori. Vagandando intorno al nostro punto base è facile trovare snodi o svincoli completamente incustoditi. L’erba cresce rigogliosa su tutti i binari, come se non avesse paura del vecchio simbolo del progresso, e i passaggi a livello non hanno sbarre automatiche per regolare il traffico, bensì semplici sollevatori manuali azionati dalla buon’anima di turno. I consigli ricevuti pre-partenza in questo senso erano più che sensati, noi che si voleva tagliare i Carpazi in treno. Certo fa pensare questo lungo viaggio in macchina per concedersene un altro così obsoleto. Scomodo, antiquato, lento, impacciato. Ogni tempo ha il suo fiore all’occhiello. Il tripudio della meccanica (che comunque ha un fascino spaventoso) è stato già sorpassato. Sono arrivate le macchine, gli aerei e la tecnologia, verrebbe da chiedersi quale sia il simbolo per eccellenza del nostro progresso,ora. Sempre se ne possa identificare precisamente uno. Lasciando la stazione la giornata non finisce, prima di rientrare a casa deviano per una zona rurale incantata e intonsa, mirando a un paesino chiamato Botiza. Sono ormai le sei e sulle strade si incontrano i contadini di ritorno a piedi dai campi. Salutano, timidi e orgogliosi. Sono più stanchi di noi. Lasciata la macchina in paese ci dividiamo per dare una sbirciata attorno. Con jeje risaliamo il cimitero della chiesa principale e rubiamo un paio di prugne al frutteto accanto. Mordo i frutti e tiro i noccioli nelle tombe affinché crescano alberi nelle lapidi. C’è un sole giallo e caldo ancora, le ombre basse. È stata una giornata lunghissima, ma ancora ci rimane molta strada per Gherta e silenziosi sbruffiamo di stanchezza, come vecchie locomotive arrugginite.