17 Agosto – Palermo

Alla riserva naturale dello Zingaro prendo il sole tutto il giorno con la bocca aperta. Voglio che la luce mi entri dentro. Ci incastriamo in una caletta sovraffollata, sdraiandoci come fachiri confezionati su un letto di sassi aguzzi e inospitali. Un bambino tempesta la madre di domande, vuole entrare in acqua ma deve attendere che la digestione abbia fine. Ci sono sempre delle regole per vivere. La madre dice “ancora dieci minuti” e improvvisamente mi sento impazienete come lui. Il bambino scalpita, sbruffa, impreca per quell’ingiustizia totalmente incomprensibile ai suoi occhi. Dieci minuti. Lo vedo determinato, minaccia la madre di non voler attendere oltre. Chiede l’ora e aspetta, ferito, fissando il mare, scagliando sassi contro altri sassi, pensando al suo innocente desiderio di divertimento. Quanto durano dieci minuti di privazione? Quanto pesano nel suo petto? La nostra indole più feroce è l’impazienza, ciò che sin da creature ci fa bruciare le budella e fremere gli organi della tranquillità. Il bambino guarda il mare e aspetta. Non attenderà oltre. La sua conduzione (cognizione) del tempo sarà intransigente. Per lui, come per chi desidera, l’approssimazione è inattuabile ed inconcepibile: la fragilità ha sempre bisogno di precisione. Maturare, o sapere invecchiare, allora -verrebbe da dire- significa imparare a dilatare i tempi di attesa di tutte le prove che ci attendono, significa padroneggiare le digestioni. Cominciamo gestendo minuti, lunghi come anni, termineremo godendo stagioni, sfuggevoli come secondi.