Giallo e giallo e giallo. Lasciamo York intorno a mezzogiorno e ancora navighiamo dentro tavolieri di risotto allo zafferano. Ogni cosa è illuminata. La strada verso nord è stupenda, ci perdiamo lungo percorsi nascosti nella colza. Secondo Kandisky il giallo è il colore dell’irrazionalità e in musica corrisponde al suono di una fanfara o di un insieme di ottoni. Lo spirito del Fred è tutto contento quando gli accenno questa cosa perchè lo spirito del Fred ama le fanfare.
Sul vascello di capitan Puma, però, facciamo suonare gli archi del Vivaldi e ci sentiamo tutte le quattro stagioni, nonchè alcune sonate per violino. Sentire la primavera in primavera ha sempre il suo fascino, specialmente se si ha la fortuna di rimanere a bocca aperta di fronte allo spettacolo gratuito della natura.
Prima di arrivare ad Edimburgo abbiamo un paio di faccende da sbrigare. Visita al vallo di Adriano e breve sosta a Jedburgh, alla sua bellissima cattedrale chiusa e a pagamento. Come ci dicono i cartelli, il vallo di Adriano è un cinturone bassissimo di pietre costruito intorno al 122 dopo Cristo (ne approfitto per far Lui gli auguri di ricorrenza del Suo secondo compleanno) che serviva a delimitare i confini del vecchio impero romano ed in tempi più recenti è servito all’Inghilterra per accaparrarsi un patrimonio dell’unesco da poter sfruttare. Alle diciassette e spicci infrangiamo l’imene della bella signora Scozia, immortalando l’uscita dalla Britannia con una foto che ci scatta lo spirito del Fred.
Edimburgo è una città bellissima e consiglio a tutti quelli che amano le città bellissime di andarla visitare. Desiniamo a base di ottimo salmone locale in un ristorante del centro ed assaggiamo un whisky nuovo ai nostri palati: Edradour, single malt dieci anni. Dopo cena ci buttiamo per locali. Sfidando la sorte ci ripresentiamo al “three sisters” e questa volta, invece di un’inaspettata festa gay, troviamo un gruppo di quattro ragazzi che suonano pezzi loro. Mi piacerebbe segnalarveli, perchè erano bravi davvero, ma prima dovrei ricordarmi come diavolo si chiamano. La pacchia dura poco e quindi siamo costretti a muoverci nuovamente finendo in uno scialbissimo club hip-hop/dance/house/jungle. Non ho voglia di ballare e la stanchezza mi spacca le gambe. Decido così di andare a morire in solitaria sui divanetti ma è un errore. Reindirizzato da quel bastardo del Puma, un giovanotto sui venticinque, che si professa in primo acchito assolutamente non razzista, comincia ad attaccarmi un bottone interminabile. Dice che la musica che tutti stanno ballando è da scimmie, non capisce come le persone normali possano ballare quella roba da negri e che l’avvento della terza guerra mondiale, a suo dire, libererà una volta per tutte le scimmie dal mondo e l’uomo bianco da questa musica tribale. Gli dico che non ho proprio risposte, che alla fine tutto può essere, ma mi guardo bene dal chiedergli perchè allora fosse lì anche lui insieme a tutti gli altri. Usciamo e dopo aver aspettato per cinquantacinque minuti un bus notturno che probabilmente non esiste ci buttiamo su un taxi e arriviamo finalmente in hotel. Domani gireremo meglio la città e si vocifera compreremo un kilt.