10 agosto – Taormina

Ho comprato un cappello di paglia da sei euro per riempirlo con la circonferenza  della mia testa di cazzo. Ho pensato, visto che il sole picchia forte, che un cappello potesse essere un buon modo per proteggermi. Magari per controllare un po’ di più le idee ossessivo paranoiche che circolano anarchicamente nel mio cervello. Sia mai che concentrandole la smettano di fare tutto quel baccano. Dicevamo: un modo per proteggermi, già. Qualche tempo fa un amico mi disse “tutelati”, così, inaspettatamente. E benché allora quella frase suonasse assai sinistra –come del resto lo sembra anche oggi per la sua assurda estemporaneità- sto cercando di metterla in atto senza chiedermi il perché e per come. Senza nessuno straccio di risultato. Seguendo la stessa linea, visto che il sole picchia forte, ho comprato anche un crema da sole. Sono entrato in un negozio di Taormina e ho chiesto qualcosa contro le scottature e la commessa mi ha messo sul bancone una crema protezione raggi solari e io le ho detto che intendevo scottature interne, le ferite dell’anima, ma lei non era una tizia molto sensibile e allora io ho pagato la crema protezione dieci a tredici euro e me ne sono uscito. Siamo andati al mare oggi. Una spiaggia dura, gremita e  ciottolosa. Piena di palloni gonfiati, italo americani, massaggiatrici thailandesi, finlandesi naturalizzati italiani e sassi. Montale si sarebbe sparato. Montale si sarebbe tirato in testa a doverci stare, ve lo dico io. Comunque. Sdraiato sui ciottoli con il mio cappellino, la mia protezione solare ero quasi più sicuro. Il Dandy e il Fred hanno nuotato molto più di me. Se c’è una cosa che non sopporto è la spiaggia con i sassi, specialmente se affollata. Sei obbligato a stare scomodo in un posto che tutti vogliono frequentare e conquistare. Te ne devi stare cheto cheto nel tuo asciugamano senza invadere i limiti e se provi ad avviarti verso il mare i sassi ti martoriano i piedi come a dire “vedi che è inutile sperare? Vedi che muoverti è fatica. Non puoi fare tutto ciò che fanno gli altri, i non sognatori? È più comodo. Non lottare per ciò che desideri. Torna a fare le parole crociate”. Rimane il mare, ma galleggiarci dentro per troppo tempo ti fa capire la nostra vera indole. Esseri impotenti in totale balia degli eventi. Insomma, ho fatto ugualmente il bagno perchè sui sassi ero scomodo e mi annoiavo e malgrado il cappello non controllavo le ossessioni. A proposito di bagno. Questa sera il Fred, per entrarvici di fretta a cercare qualcosa, è scivolato e ha picchiato tibia, scapola e orecchio contro lo stipite della porta. Penso siano gli stati d’animo a rendere i posti piacevoli, bagni compresi. Verso ora di cena abbiamo patteggiato con il nostro amico giaguaro il programma della serata. Arancini –quelli che piacciono tanto a Montalbano- seguiti dall’Aida al vecchio teatro romano. Non vi sto a raccontare impressioni varie perché adesso sono troppo stanco. Scrivo di fianco a dove è caduto il Fred, la finestra è aperta e giù in strada passa un macchina ogni tanto. Un ultimo appunto prima di chiudere. Sulla terrazza di fronte alla chiesa di porta Catania ho trovato un pacchetto di Winston intonso per terra. Ho provato a schiacciarlo perché schiaccio tutti i pacchetti vuoti di sigarette che incontro ma questo non ha fatto il solito rumore e mi sono accorto che era nuovo di zecca. E niente. Questa settimana fumerò Winston.

09 Agosto – Taormina

Dice Bianca: “si parte per conoscere il mondo, si torna per conoscere se stessi” è una bella frase. Dico io “si potrebbe rendere più poetica”. Tipo: lasciare è rischiare, tornare è sperare. Così torno e così spero. Si lascia se stessi per capire gli altri, si torna per raccontare degli altri a noi stessi. No? Itaca, ancora maledettissima Itaca. Rieccoci. Non vi diremo dove comincia questo racconto, senza che vi siate accorti è già iniziato. L’ennesimo. In un agosto dove tutti partono, dove per chi non presta attenzione il viaggio si ripete, è noioso, è casa, banalità, scappa, per il sottoscritto è tristezza e necessità. Forse, ancora una volta, speranza. Comincia così, nuovamente, un altro viaggio non voluto, arrangiato, raffazzonato . Ci troviamo in Sicilia. La trinacria, il triangolo, la vagina… poi. Tre punti, tre noi. Lo spirito del Fred si è finalmente rimaterializzato. Tutti dicono: era ora. Capitan Puma è altrove, si cambia vascello a questo giro e oltre al Fred il Dandy, sempre e ostinatamente insieme nonostante le distanze, sempre ed ostinatamente insieme nonostante l’assenza di una meta. Dove diavolo è casa mia? Alcune persone viaggiano all’interno di un viaggio. Fanno del loro porto primo l’amore invece del luogo di nascita e si sentono, come un riflesso sull’onda, perennemente in mare, lontano da quella che tutti i pigri chiamano tranquillità. Le onde, si sa, non hanno mai pace. Dove diavolo è casa loro? Abbiamo un mare, dentro, immenso. Tutti abbiamo un mare dentro e oggi il mio è straripato, incontenibile, fuggendo dai pertugi con i quali, di solito, sono solito godermi la risacca degli arresi. Ho provato a vincerlo asciugandolo di respiri. Ho provato a chetarlo allungandolo di spirito. Come al solito scrivo di notte. Siamo appena rientrati dalla cena, imbottiti di whiskey. Abbiamo girato un po’ di bar per trovare del whiskey decente. I miei due amici dormono. Durante la cena, quel figlio di puttana del cameriere ci ha tolto il piatto per la scarpetta portandoci altro pane fresco, levandoci però la pietanza. Come dire: “chi ha i denti non ha il pane”. Vero verissimo. Abbiamo mangiamo a Taormina. Avrei voluto della roba colorata da ingerire per vivacizzarmi gli interni ma ho finito con ordinare un piatto nero che mi ha sporcato persino le labbra. Sono ossessionato dai colori. Dice Bianca: “Sono il colore che non hai”. Vero, verissimo. I ragazzi adesso russano in coro, ve li farei sentire, sono davvero fantastici, russano proprio forte e sembra si richiamino uno con l’altro. Prima di tornare in camera ci siamo fermati su una terrazza vista mare e abbiamo guardato il golfo sotto di noi. Incredibile come una luce, nel buio, diventi affascinante. Già, merda, è l’assenza di colore che risalta le cose. Siamo ossessionati dalla ricerca del colore. Specialmente da quello che non abbiamo. Tre navi dormono illuminate nel profondo del mare, coccolate, certezze abbandonate in quell’incantevole specchio di petrolio. Un vento caldo respira e noi ascoltiamo. Quando torniamo in camera, prima di addormentarci, Dandy ci fa sentire una canzone. Dice: “quando morirò, voglio che suoni questa al mio funerale” e si addormenta. No, non vi  dirò mai che canzone era.