
L’altro mistero era proprio l’incontro tra la cucina e il corridoio. Perché non ero riuscito a smettere di guardarla? Aveva un corpo robusto e femminile, piú formoso di quello delle ragazze che mi piacevano e che seguivo con gli occhi, ma ero sicuro che, se l’avessi vista in piscina, non avrebbe attirato la mia attenzione. E non si era nemmeno mostrata piú nuda delle donne e ragazze che avevo già visto, appunto, in piscina. Inoltre era molto piú vecchia delle ragazze che sognavo. Oltre i trenta? È difficile dare un’età quando non la si è ancora passata o non si è in procinto di raggiungerla. Anni dopo mi resi conto che non era stato semplicemente il suo corpo a impedirmi di distogliere lo sguardo, bensí il suo portamento e i suoi movimenti. Chiesi alle mie fidanzate di indossare le calze davanti a me, ma senza voler dare spiegazioni né raccontare il mistero di quell’incontro tra la cucina e il corridoio. Cosí la mia richiesta veniva presa per un desiderio di calze e merletti e stravaganze erotiche e, quando veniva esaudita, era accompagnata da atteggiamenti civettuoli. Non erano quelli i gesti da cui non ero riuscito a distogliere lo sguardo. Lei non si era messa in posa, non aveva fatto la civetta. Anzi, non ricordo che abbia mai agito cosí, nemmeno in seguito. Ricordo che il suo corpo, il suo portamento e i suoi movimenti a volte sembravano goffi. Non che lei fosse goffa; piuttosto sembrava rannicchiata dentro il suo corpo, ritratta in se stessa, abbandonata al suo ritmo tranquillo, indisturbata dai comandi del cervello e dimentica del mondo esterno. La stessa dimenticanza del mondo esterno trapelava dal suo portamento e dai movimenti con cui si era infilata le calze. Non era goffa, bensí fluente, aggraziata, seducente – di quella seduzione che non è seno e sedere e gambe, ma l’invito a dimenticare il mondo rifugiandosi nel corpo.
DUE PAROLE
Il potere salvifico della lettura a voce alta è il tributo alla letteratura e alla narrativa tutta espresso da questo dolcissimo e commovente romanzo. La storia incrocia un romanzo formativo del protagonista, segnato dall’esperienza amorosa che condizionerà per sempre la sua vita, agli orrori dell’olocausto. Hanna, la bella robusta ed esperta donna amata dal giovane ragazzino ha un passato nero. La macchia che la copre però non è quella storica, in cui ella ha sempre mantenuto una certa coerenza morale, bensì quella culturale personale: l’analfabetismo. Le vergogne vengono lentamente e contemporaneamente a galla. Rappresentano entrambe l’indicibile e, soprattutto, toccano il tema dello sforzo di comprensione. Questo tema in particolare, quello della comprensione, è un peso che tutta la comunità deve affrontare. Lo dice chiaramanete Schill nel testo: come poteva la generazione successiva ai crimini nazisti chiedere qualcosa alla precedente? Come poteva evitare la vergogna, la redenzione e soprattutto il perdono dei più giovani? E cosa avrebbero dovuto chiedere di più i giovani ai loro genitori nel nomalissimo processo di ribellione e presa di distanza da quegli ideali, da quelle posizioni e infine da quei comportamenti? Riprendo dal romanzo “A volte penso che il confronto con il passato nazionalsocialista non fosse la causa, ma solo l’espressione del conflitto generazionale, la vera forza propulsiva del movimento studentesco. Le aspettative dei genitori, dai quali ogni generazione deve liberarsi, venivano facilmente liquidate con la considerazione che quei genitori avevano fallito durante il Terzo Reich o, al piú tardi, dopo la sua fine. Come potevano dire qualcosa ai loro figli le stesse persone che avevano commesso i crimini nazisti, o erano rimaste a guardare o avevano distolto lo sguardo, o avevano tollerato o addirittura accettato i criminali in mezzo a loro dopo il 1945? Ma, d’altro canto, il passato nazionalsocialista era un tema cruciale anche per quei figli che non potevano o non volevano rimproverare nulla ai propri genitori. Per loro il confronto con l’epoca del Terzo Reich non incarnava un conflitto generazionale, ma era l’unico e vero problema.”
Il “ragazzino” incarna quindi una generazione intera. I suoi studi sono infatti volti a giudicare (per forse infine redimere?) i propri genitori. Non è un caso che Hanna sia considerabile come una seconda madre, con i benefici e le conseguenze del sesso (quindi dell’unione carnale alla questione). L’insonstenibilità del peso porterà Hanna alla morte. Nessuno sconto od omissione è concessa alla verità vista dagli occhi della donna. L’incapacità di descrivere le stesse cose è radicale, profonda, dolorosissima, tanto quanto la sua analfabetizzazione. Non saper leggere né scrivere non è certo una causa, bensì una conseguenza. Gli occhi hanno visto, ma non osano raccontare. La bocca ha parlato, ma le mani non osano scrivere. è dolce, quasi incantevole, il percorso di ritorno alla luce attraverso il detto. La lettura a voce alta mantiene vivo l’amore: sia fra il giovane ed Hanna, sia fra l’uomo e il genere umano. Anche il “ragazzino”, di fronte alla notizia della scomparsa della sua amata dannata, non riuscirà a proferir verbo. Un romanzo capace di commuovere, quasi mieloso per certi versi, ma decisamente impetuoso, parlante, vibrante. Leggibile su numerosi piani di lettura (come pochi grandi scritti sanno fare) direi quasi camaleontico nel nascondere la sua grandezza dietro una banalissima storia di passione. La piccolezza dei nostri sentimenti è grande quanto i più importanti eventi di ciò che chiamiamo “umanità”.