
Il ricognitore planava. Si trovavano sopra una superficie disuguale, irta di punte acuminate di metallo nerastro, tor-mentata, qua e là coperta di quelle lastre triangolari, che non giacevano sullo stesso piano; inclinate verso l’alto o verso il basso, permettevano di scorgere le viscere piene di tenebra. Lo spessore del groviglio di divisioni, verghe, elementi al-veolati era tale che la luce del sole non riusciva a penetrarvi e anche i fasci luminosi dei proiettori erano impotenti ad af-fondarvi. «Che ne pensa lei, Ballmin, che cosa può significare?» ripeté Rohan. Era rabbioso. La sua fronte, a furia di asciugarla, era ar-rossata, la pelle era indolorita, gli occhi bruciavano, e fra pochi minuti lui doveva trasmettere il prossimo rapporto all’ Invincibile, mentre in quel momento non sapeva neppure trovare le parole per definire ciò che gli stava di fronte. «Non sono un veggente» rispose lo studioso. «Non sono neppure un archeologo. Penso del resto che neppure un archeologo potrebbe dirle gran che. Mi sembra…» S’interruppe. «Dica!» «Non sembrano edifici d’abitazione. Neanche ruderi delle abitazioni d’esseri di alcun genere… mi capisce? Se un paragone si dovesse tentare, nel complesso, sarebbe forse con una macchina.» «Una macchina, questa? Ma quale? Una memoria che raccoglie le informazioni? Può essere stata una specie di cervello elettronico?» «Probabilmente, lei stesso non lo crede…» rispose flem-matico il planetologo. Il robot si spostò di lato, quasi a sfiorare le verghe che sporgevano disordinatamente fra le lastre sconnesse. «No. Questo non è mai stato un complesso di circuiti elettrici. Dove vede un genere qualunque di pareti, isolatori, schermature?» «Forse erano infiammabili. Il fuoco può averli distrutti. Adesso è un rudere» disse Rohan con poca convinzione.
DUE PAROLE
Il titanico scontro della coscienza contro l’incoscienza (cioè della forma organica contro quella inorganica) viene rappresentato con i colori di un quadro e una tensione narrativa sopraffina. La storia è molto semplice, lineare, cinematografica: La nave spaziale “Invincible” approda su un pianeta Regis III alla ricerca della sua gemella “Condor”, scomparsa in circostanze poco chiare durante un’altra missione spaziale. All’arrivo sul pianeta, l’equipaggio dell’Invincible inizia ad accorgersi delle peculiarità alquanto sinistre dell’ambiente. Dalla totale assenza di vita terrena (seppur i suoi oceani risultino popolati) alla presenza di architetture e relitti tanto tecnologici quanto macabri. Una città fantasma meccanica nera, costruita nel deserto. Al ritrovo del relitto del “Condord” le cose iniziano a mistificarsi. Membri del suo equipaggio vengono ritrovati morti con cause indecifrabili, senza segni di violenza ma cosparsi di lugubri circostanze. Con l’avanzare delle investigazioni e delle ricerche (guidate dal co-protagonista Rohan) si evincerà che il pianeta è popolato – se così si può dire, da un’entità meccanica inorganica e paradossalmente priva di coscienza che ha vinto la selezione naturale sul pianeta e che si manifesta in forme nubilari annichilendo e sopprimendo qualsiasi forma di vita che l’affronti. Gli uomini che ne fanno le conseguenze non muoiono, ma vengono privati della propria ragione, trasformandosi in organismi privi di coscienza e comprensione. Una specie di stato primordiale dell’infanzia. Dopo una serie di battaglie e diversi tentativi di prevalsa, l’equipaggio e dunque per estensione l’Invincible stessa, saranno costretti ad ammettere l’evidenza dell’impari confronto, abbandonare il pianeta senza però prima non aver provato a recuperare i compagni ivi dispersi. Questo romanzo offre insomma, sotto una coltre di intrattenimento e cinematografia da botteghino, un dibattito filosofico eccezionale, tipico del suo autore.
La prima domanda è sul senso dell’esistenza, la nube esiste senza pensare e trasforma gli uomini nella sua stessa sostanza non-pensante. è la brutale cecità della natura, dell’universo, che non si cura minimamente della fragilità della vita. Cosa ci attrae così tanto del nostro labile passaggio nel cosmo? Ponendosi al centro di tutto pare facile dirlo: l’egocentrismo. Così come ponendosi nei nostri panni: in fin dei conti la coscienza è prerogativa umana. Eppure siamo in grado di guardare nell’abisso e incontrare quell’anestetica voglia di annichilimento totale senza stupirci. Nei meandri della nostra anima sappiamo che anche questo sentimento appartiene allo spettro umano. Ne è prerogativa tanto quanto la curiosità, l’amore e il fascino per la vita.
La stupidità della nostra specie è massacrata dai taglienti passaggi (ironici) in cui Lem fa accanire l’equipaggio della nave nel tentativo di combattere (e infine distruggere) il suo nemico. Ma come si combatte una cosa che è morta? Come si può vincere l’inanimato? Qui un dialogo significativo “Cioè, evidentemente, con l’opportuna concentrazione di mezzi, potremmo distruggere tutto il pianeta… ma non è questa la nostra missione, a parte che non avremmo la forza sufficiente. La situazione è veramente unica nel suo genere, poiché, a mio modo di vedere, siamo noi gli esseri di livello intellettuale più alto. Quei congegni non rappresentano il minimo potere di ragionamento, sono soltanto stupendamente adatti alle condizioni di questo pianeta… per distruggere tutto ciò che ragiona, come pure tutto ciò che vive. Loro invece non sono vivi. Perciò, quel che per essi è innocuo, per noi può essere mortale.”
Generali, imperatori, e capi di stato (qui surrogati nell’astrogatore) si sono accaniti nei secoli con la stessa pochezza spirituale. Lo sguardo lungimirante dei monarchi è spesso obnubilato da un desiderio di vittoria che, in termini pratici, può anche non rivelarsi affatto utile. Questa effimera sussistenza può essere dunque paragonata al senso della vita (alla sua assenza) cui parlavo poco sopra.
Credo che la risposta sia insita in un’altra peculiarità umana: la volontà/necessità di dominio. La dipendenza tossica a questa situazione non è, a differenza di ciò che accade nel regno animale, un istinto atavico. O meglio, non solo. Bensì un complesso meccanismo psicologico che agisce per portarci all’apice, costi quel che costi. L’uomo vuole follemente sedersi accanto al trono di Dio. Questi temi, sviluppati e approfonditi ardentemente dallo sviluppo della tecnologia nucleare in poi, sono parte dell’illusione collettiva – guidata in testa dalla tecnica – che l’uomo sia un essere tracotante in grado di trascendere se stesso e le sue stesse possibilità. Non a caso Lem fu noto ateo. E non a caso questo nichilismo viene sviluppato dalla scomparsa di Dio (dalla sua morte annunciata). Ora che l’umanità ha rifiutato il divino, ogni scusa è buona per confrontare l’uomo al proprio limite. Anzi, l’uomo soffre tremendamente dell’assenza di un limite. Chi e cosa, oggi, rappresentano la controparte divina? Con chi l’uomo può sfogare la frustrazione della propria condizione? Si crea così una frizione fra la sostanza dell’Universo, cioè il mistero, e la tecnica, cioè lo strumento con cui l’uomo pensa ancora di poter competere con il divino. Anteporre la forza bruta (il mortaio nucleare) contro altrettanta forza manifesta di un essere meccanico inanimato è tanto assurdo quanto prendere a cazzotti un albero. Frustrazione massima del mortale contro l’immortale. Uomo contro natura. L’invincibile è allora la proiezione di ciò che veicoliamo nel mondo. La bugia che raccontiamo alle galassie. La propaganda del nostro ego smisurato. Dice l’autore “Non tutto l’universo ci è stato destinato, e il nostro posto non è dappertutto“.
Il romanzo si può leggere, in sintesi, come un percorso formativo della ricerca filosofico scientifica e del nostro esistenzialismo. Il costante fallimento che esso compie nei confronti della verità. (Della verità insindacabile del cosmo, non di quella immaginaria terrena). Si esce sconfitti in partenza. E’ stupendo, infine, il tema più rivoluzionario del testo, ovvero immaginarsi che l’evoluzione possa non essere l’unico motore creativo di un dato ambiente. Ciò che Lem nel romanzo chiama, per voce di uno scienziato, necro-evoluzione.
Lem si conferma uno degli scrittori più fertili della sua generazione, costantemente impegnato nel mantenere le domande di “chi siamo” e “cosa significa vivere” in cima alla nostra attenzione. Contemporaneamente capace di impacchettarle in puro intrattenimento narrativo. Eccezionale.