Agota Kristof – L’analfabeta

Come si diventa scrittori? Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressione che non interesserà mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri.

DUE PAROLE

Come poteva essere l’autobiografia della Kristof se non esattamente come mi immaginavo fosse? L’analfabeta è la prima autobiografia originale che leggo. Sintetica, scarna, quasi dilaniata. La prolissità è vezzo sconosciuto a questa scrittrice che così tanto sono arrivato ad amare. Cita, fra l’altro, un solo scrittore nelle già pochissime pagine di memoria: Thomas Bernard. Una donna nata per leggere e, soprattutto, per scrivere, ma che ha dovuto imparare quanto ciò le riusciva meglio, leggere, da capo. Ecco perché analfabeta. La brevità dell’opera non si fa mancare passaggi stupendi, tanto poetici quanto succinti e lancinanti, che si ergono a vessillo di un popolo passionale e bizzarro, una vera incomprensione europea l’Ungheria (fu l’unico paese a vivere sia nazismo che comunismo). La malinconia che mai abbandona le sue origini “Ho lasciato in Ungheria il mio diario dalla scrittura segreta, e anche le mie prime poesie. Ho lasciato là i miei fratelli, i miei genitori, senza avvisarli, senza dir loro addio, o arrivederci. Ma soprattutto, quel giorno, quel giorno di fine novembre 1956, ho perso definitivamente la mia appartenenza a un popolo”, unita all’amore della sua lingua, delle sue radici culturali e affettive “Dalle scuole viene fuori una generazione di ignoranti. Ed è così che, all’età di ventun anni, al mio arrivo in Svizzera, e assolutamente per caso in una città in cui si parla francese, vengo confrontata con una lingua per me del tutto sconosciuta. È qui che comincia la mia lotta per conquistare questa lingua, una lotta accanita e lunga, che di certo durerà per tutta la mia vita. Parlo il francese da più di trent’anni, lo scrivo da vent’anni, ma ancora non lo conosco. Non riesco a parlarlo senza errori, e non so scriverlo che con l’aiuto di un dizionario da consultare di frequente. È per questa ragione che definisco anche la lingua francese una lingua nemica. Ma ce n’è un’altra, di ragione, ed è la più grave: questa lingua sta uccidendo la mia lingua materna.” In questo breve monumento, la Kristof, parla talmente poco di sé da lasciarci romanzare come la letteratura, sopra ogni altra cosa, sopra la sofferenza e i dolori di ogni esule, sia stata la cosa più importante della sua vita.