Andrea Molesini – Non tutti i bastardi sono di Vienna


Il Grappa è una montagna maledetta! Ce ne vorrà prima che la neve fermi le manovre. In guerra un ufficiale ordina la morte tutti i giorni e tutti i giorni pretende obbedienza immediata, assoluta. Quando non c’è la battaglia, quando gli uomini sono… a riposo… debbo essere magnanimo, perché il giorno dopo posso ordinare a quei ragazzi di attraversare un fiume a nuoto, e questo anche se il fiume è in piena, anche se c’è una luna grande così. Quello che io dico loro fanno, anche se c’è da morire». Non riuscivo a vedere l’espressione della zia, ma la sua voce si fece più dolce: «Gli uomini come voi, che frequentano la morte, hanno un fascino speciale… medici, soldati… assassini… ogni donna lo sente». Riuscii a udire un sospiro. «Ha qualcosa a che fare con l’attesa. Un soldato che aspetta la battaglia, o la donna che aspetta il ritorno del suo uomo. L’attesa è terrore. Mentre l’agire toglie l’aria alla paura. Io l’ho visto il terrore. Era negli occhi dei feriti che i nostri abbandonavano nei fossi. L’ho visto negli occhi dei cavalli, quando muoiono. E l’ho sentito dentro di me, capitano». Il capitano posò la forchetta e si assestò il monocolo. Ebbi il sospetto che usasse quell’arnese come uno scudo: forse temeva di essere tradito dal suo sguardo, di farsi sorprendere con la guardia abbassata. «Voi, capitano, pensate che una donna non sappia cosa si prova accovacciati in una buca quando le granate ti cercano? Credete che io non riesca a immaginare cosa sia sentire quegli scoppi, quei boati avvicinarsi? O trovarsi con la testa, con il braccio di un amico in grembo, una testa e un braccio senza più il corpo attaccati? Sono una donna, è vero, ma ho visto cosa succede ai soldati. Non sono le loro parole a parlare, ma i loro occhi, occhi che chiedono una spiegazione. Perché ora, perché qui, perché io? Ma una spiegazione non c’è. Si muore perché si muore. Una granata si porta via le tue mani, le tue gambe… allora spetta a noi dire qualcosa, alle madri, alle sorelle, alle fidanzate e… alle sgualdrine. Siamo noi, le donne, tutte le donne, che diamo risposte. Non le diamo, capitano, con le parole, ma con il ventre, la voce, le labbra, i capelli di donna, siamo noi la vostra sete e il vostro unguento

DUE PAROLE

Appendo subito il chiodo in cui attorno gira il romanzo, non solo perché scelta come titolo: <<Si girò di scatto verso la porta, come se avesse intuito una minaccia. Dal cassetto uscì un coltello lungo due spanne. La lama gli luccicò fra le dita, poi accanto alla faccia, sopra la spalla. Tirò. Un tonfo. Era un ratto, e si contorceva, inchiodato alla base della porta. Io e Giulia ci guardammo, muti, inorriditi. «Ti ho preso, bastardo!». Il don ridacchiò e, sottovoce, aggiunse: «Non tutti i bastardi sono di Vienna».>>
Si evince già molto da questa frase. Vi è, in estrema sintesi, racchiuso sia il senso che l’estrema leggerezza di questo romanzo. È un romanzo che parla della ricerca di umanità in una situazione bestiale. Un racconto inventato che però basa qualche fondamento su vicende e luoghi realmente accaduti. Siamo alla fine della prima guerra mondiale, nei luoghi e nella disperazione attorno alla disfatta di caporetto. La casa di famiglia Spada è sequestrata da un comando austro ungarico. Il racconto pone costantemente in lotta e in sovrapposizione le più aberranti crudeltà che la storia ci ha insegnato avvengono quando un invasore domina un soccombente. Il perpetrarsi di stupri, omicidi, tradimenti, passioni e parole d’onore è vissuto dal giovane Paolo – il protagonista – come un percorso formativo, che lo porterà a conoscere tutti i misteri della vita, finanche quello della morte. Molesini riesce a ribadire il detto, a parlare (con un romanzo uscito nel 2010) di temi su cui sono state scritte migliaia, forse miliardi di righe. Guardate questo passaggio di una semplicità disarmante: «Sapete cosa c’è di buono nella guerra? Che fa le cose semplici. Mette i buoni di qua, i cattivi di là. Sai che quello lo devi uccidere, te lo dice la sua divisa. Sai che a quello devi dare ordini e a quell’altro devi obbedienza. Basta guardare le mostrine. A un soldato avanza persino del tempo per pensare. La vita borghese è ottusa perché troppo piena di… libertà… finte». «In tempo di pace non si muore, però». «Si muore comunque, sempre, tutti».
Una lettura piacevole, non certo originale, ma viva e tutto sommato tagliente, capace di mettere di fronte al lettore la semplicità della nostra follia. “La guerra è fatta dagli uomini, gli animali non c’entrano, e poi… forse loro sono più vicini a Dio… sono così semplici… così diretti”.