Camilo José Cela – La famiglia di Pascual Duarte

La nascita del povero Mario – così si chiamava il nuovo fratello – non poteva avvenire in condizioni più agitate e incresciose, perché per colmo di sventura e come se non bastasse il fracasso che faceva mia madre durate il parto, venne anche a coincidere con la morte di miopadre – una morte che se non fosse avvenuta in maniera così tragica, certo farebbe ridere anche a pensarla adesso a mente fredda. Erano due giorni che tenevamo mio padre chiuso nello stipo a muro quando Mario venne alla luce. Lo aveva morso un cane arrabbiato, e sebbene in principio sembrasse scongiurato il pericolo dell’idrofobia, in seguito cominciarono ad assalirlo degli accessi di tremito che ci misero tutti in allarme. La signora Engracia ci avvertì che perfino lo sguardo avrebbe potuto fare abortire mia madre e, poiché per il poveretto non c’era più rimedio, ci sforzammo di metterlo sottochiave con l’aiuto di alcuni vicini e con tutte le cautele possibili, perché tirava dei morsi che a più d’uno avrebbe strappato un braccio se l’avesse potuto. Tuttavia mi ricordo di quelle ore con pena e angoscia… Dio, che sforzi dovemmo fare tutti per immobilizzarlo! Si divincolava come un leone, giurava che ci avrebbe scannati tutti quanti, e nel suo sguardo c’era tanto fuoco, che sono sicuro che l’avrebbe fatto se Dio gliel’avesse consentito. Erano due giorni, dico, che lo tenevamo rinchiuso –e faceva tali urla e pestava la porta a calci, che dovevamo puntellarla con qualche bastone – sicché non mi stupisce che Mario, intronato anche dalle strida della madre, venisse al mondo spaventato e instupidito. Mio padre non si sentì più urlare durante la notte seguente – che era quella dell’Epifania – e quando andammo a tirarlo fuori pensando che doveva essere già morto, lo trovammo lì dentro abbattuto al suolo e con un terrore scolpito nel viso che ci pareva proprio d’essere in un angolo dell’inferno. Mi sconcertò tanto a vedere che mia madre, invece di piangere, come io mi aspettavo, cominciasse a ridere, e non mi restò altro da fare che inghiottire le due lacrime che mi spuntavano alla vista del cadavere: aveva gli occhi sbarrati e pieni di sangue e la bocca semiaperta con la lingua rimasta mezza di fuori.

 

DUE PAROLE

Presentato come la raccolta di deliranti e confuse memorie che Pascual Duarte scrisse da incarcerato, poi ordinatamente ricostruite dal meta-curatore in una lunga confessione, il romanzo racconta l’infelice e maledetta vita di un uomo perseguitato dal male, totalmente incapace di gestire le proprie pulsioni e autore, all’interno della sua stessa famiglia di ignobili omicidi e violenze, nonché vittima di tremende sciagure. Pascual Duarte è un innato facinoroso, un perseguitato, un essere bestiale, tanto semplice quanto ferace. I suoi comportamenti e le sue pulsioni si accendono in sequenza binaria. A guisa di un congegno mal riuscito, l’uomo attiva e sopprime il suo lato oscuro, lasciando prevalere sul suo giudizio. La vita di Pascual Duarte è un interruttore dato in mano al demonio, che sembra divertirsi nel continuare, come un bimbo dispettoso, a solleticarlo. La bellezza del romanzo sta però nella semplicità con la quale il protagonista racconta ogni accadimento. Egli infatti non è paragonabile al colto Dr. Jeckyll, né ai vari dualismi bipolari della letteratura. Egli è totalmente integro nel suo triste destino. Semplice come le sue origini, tanto che gli abomini di cui si macchia, quasi, non appaiono scabrosi. Con una prosa strepitosa, Cela riesce a far emergere questa linearità di spirito e di pensiero. È il virtuosismo dei grandi scrittori, capaci, con il solo uso della semplicità, di dipingere sfumature immortali, che rendono il suo romanzo, e il suo scempio protagonista, tanto abietti quanto perdonabili. L’humor nero –infine- macabro, quasi disturbante, accompagna il lettore scuotendone le interiora. È l’accostamento fra la semplicità e la brutalità a far scaturire nella maggior parte dei casi le sonore risate. Un libro che si legge con un ghigno costante, quel mezzo sorriso che si posa fra l’indigno e il puro spasso.

 

p.s. dimenticavo di annotare che la lettura mi è stata consigliata dal buon amico Juan Montaño Oliveiros e mi è costata mesi di ricerca. Edizione esaurita in ristampa in italiano, recuperata tramite motore di libri usati.

 

INFO UTILI

170 pagine per poco meno di 3 ore di lettura
Edizioni Einaudi, ISBN 9788806116675
In copertina un autoritratto di Picasso