Alle ore diciotto di venerdì 8 agosto l’aereo ad elica della Tarom proveniente da Bucarest ci ha scaricato sulla pista di atterraggio di Satu Mare. Il tempo umido e uggioso e pochi passi per entrare nel microscopico aeroporto a ridosso delle coltivazioni circostanti. Il nastro trasportatore è poco più lungo di un banco salumi, l’uscita informale e nascosta, sembra di essere in ufficio postale dal retrogusto sovietico. Usciti nel piazzale attendiamo i rinforzi che dopo una ventina di minuti spuntano in fondo alla lunga e anonima via d’ingresso al parcheggio. Loris, Ana, Lavinia e Jeje ci ricevono con bocconcini locali. Siamo in attesa di Dani, che ci presterà cortesemente la macchina per una ventina di giorni. Appena giunto saliamo sul suo furgone per andare a recuperarla ed eseguiamo lo scambio di cortesie presso un anonimo distributore di benzina. Il mare di girasoli che avvolge l’aeroporto e i terreni circostanti è un suggestivo auspicio ai panorami che incontreremo. La nostra prima sistemazione è a Gherța Mică, un paese contadino dalle case prive di ringhiere. La famiglia di Ana ha appena sgozzato un vitello e festeggiamo rendendogli onore. Il giorno successivo, ovvero quello in cui sto scrivendo, la sveglia ci chiama al dovere. Siamo diretti nel Maramureș, a Săpânța, per visitare il cimitero felice. Vi troviamo un luogo turistico ma suggestivo. Muratori lavorano ad una decina di metri d’altezza senza alcuna protezione per il restauro della chiesa limitrofa e curiosi visitatori si aggirano tra le tombe colorate. Molti anni fa, un sarcastico gentiluomo iniziò a prendere la morte meno seriamente di quello che meriti. Realizzò tombe coloratissime, ognuna con un epitaffio ironico e tagliente, compresa la sua. Come il cimitero dell’antologia di spoon river di E.L. Master, ogni defunto del paese ha avuto la sua storia, forse più guascona e irriverente, ma comunque importante perché sfacciata e sempre avrò stima di chi si sa prendere in giro della fine. A meno di un chilometro dal cimitero raggiungiamo il monastero di Sâpănța-Peri, la costruzione in legno più alta d’Europa. Sulla via di ritorno alla macchina una signora affacciata al suo steccato inizia una conversazione con Lavinia e in pochissimo siamo invitati a entrare. Ci mostra il salotto, la casa e le sue infinite stufe in ceramica, una per stanza. Congedati, ci fermiamo a mangiare al bar poco fuori la sua abitazione, che lei stessa ci ha assicurato essere uno dei migliori della zona. E da una risata liberatoria ad un urlo represso, andiamo a Sighet per vedere il museo carcere delle torture perpetrate durante il comunismo. Siamo appena arrivati e abbiamo già iniziato a scalfire la spessa corazza della storia rumena. Complicata ed ingenua, con le sue ripercussioni, sarà l’ombra silenziosa di questo lungo viaggio.