Day 06 – Gherța Mica

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Ancora non so come faccia tutte le mattine ad arrivare prima del sole. Non gli è mai sfuggito un giorno. Entra nella stanza dove viviamo io e mio figlio e mi lega la coda alla coscia con uno spago. Mentre il sole comincia a spaccare il buio dall’unica finestra rivolta ad est, esce ad abbracciare un mucchio d’erba più grande di lui e me lo porta. Se c’è sterco, lo spala. Se c’è piscio, lo spazza. Butta il fieno fresco nella greppia e siede. È sua figlia che mi munge. Gheorghie ha ormai ottant’anni, una mano inferma, la pelle dura. Vorrebbe prendersi cura di me ma so che c’è un tempo per tutto, che ognuno è lo schiavo di qualcuno, e so anche che presto ucciderà mio figlio. Nessuno di noi avrà mai il coraggio di ribellarsi alla propria natura. Nessuno di noi, qui, ha rancore. Attendiamo silenziosi l’operare della sua bambina che mi strizza i capezzoli con zelo, dall’alto al basso. Il primo secchio di latte lo danno al piccolo. Il secondo lo tengono. Solo quando sento liberarmi la coda so di essere libera. Gheorghie mi porta nell’aia dove aspettiamo il ritrovo mattutino. Nei tini di legno macerano le prugne custodite dai calabroni e da isteriche mosche. Il lento imputridire genererà buone bevande. Dai pascoli lontani, come una valanga, si uniscono man mano le bestie al treno di capi che, incedendo, ingrossa verso valle. Lo guida una giovane pastore, amico fidato di Gheorghie, che ci porterà a pascolare fino al cedere del giorno. Non c’è bisogno di spiegarmi la strada, le nerbate sulla groppa sono solo un gesto di sicurezza per uomini abituati ad avere ragione. Non mi fa male. Il campanaccio batte il mio passo, quando mi unisco alle altre suoniamo una melodia più sacra di una processione. È la canzone del tempo infinito. Dei giorni che passano uguali per sopravvivenza e non per noia. La canzone di Gheorghie e della sua terra e della terra di tutti i contadini. È la canzone che sempre meno uomini sanno ascoltare. È la canzone che ci divide dalla realtà, quando una società o un sistema sono arrivati a prendersi cura di noi, darci da mangiare, accudirci con così tanta premura da averci tappato le orecchie.