Ivo Andric – Il ponte sulla Drina

Finché‚ durarono i festeggiamenti, e nei primi giorni in generale, la gente attraversò il ponte innumerevoli volte da una riva all’altra. I ragazzi andavano di corsa e gli anziani lentamente, conversando o ammirando da ogni punto le vedute del tutto nuove che adesso si potevano contemplare da quel posto. Gli infermi, gli zoppi ed i paralitici vennero portati in barelle, perché‚ nessuno volle mancare e rinunciare alla propria parte di quel miracolo. Ciascun abitante della cittadina, anche il più misero, ebbe la sensazione che le sue capacita si fossero all’improvviso moltiplicate e che la sua energia fosse cresciuta; come se un’impresa meravigliosa, sovrumana, fosse scesa alla portata delle sue forze ed entro i limiti della vita quotidiana; come se, accanto agli elementi fino allora conosciuti terra, acqua e cielo ne fosse stato scoperto uno nuovo; come se, per benefico intervento di qualcuno, per tutti e per ciascuno fosse stato attuato uno dei più profondi desideri, un antico sogno degli uomini: camminare sopra le acque e dominare lo spazio.

DUE PAROLE

Basta un capitolo, magari quello iniziale, per capire come questo romanzo si faccia largo immediatamente nei classici, di quelli lunghi e durevoli, proprio come il ponte da Andric descritto. Ecco, se proprio vogliamo trovare una similitudine per eccellenza, magari anche un po’ banale nella sua figurazione, questo testo ben somiglia a un granitico e incrollabile collegamento fra il passato e il recente della sua terra. Primariamente perché getta le basi necessarie all’incontro di culture diverse, e in seconda battura per la solidità e durevolezza della (sua) prosa nel tempo. Il ponte sulla Drina verrà letto da numerose generazioni, così come da numerose generazioni è stato calpestato il ponte stesso. Il romanzo è, il ponte. Il ponte è sineddoche della sua eredità, della sua storia, della sua terra. Un meraviglioso passaggio cruciale in un luogo a noi sì vicino ma assai sconosciuto. Una supervisione immortale dei Balcani, della loro storia, delle ragioni e delle origini di una terra di contraddizioni, diversità, dominazioni e conflitti. L’eternità narrativa si sviscera ad ogni cantone: “E così sulla porta, in mezzo al cielo, al fiume e alle montagne, una generazione dopo l’altra apprendeva a non compiangere oltre misura ciò che la torbida acqua si portava via. In tutti penetrava la spontanea filosofia della cittadina: che la vita è un miracolo impenetrabile, perché‚ si consuma e si disfà incessantemente, eppure dura e sta salda come il ponte sulla Drina”. O ancora: “Ma le miserie non durano in eterno (in ciò sono simili alle gioie), trascorrono o almeno si trasformano, e si perdono nell’oblio. E la vita sulla porta si rinnova sempre e malgrado tutto, il ponte non muta n‚ col passare degli anni n‚ col passare dei secoli, n‚ coi più grandi cambiamenti dei rapporti umani. Tutto scorre su di esso come l’acqua agitata che passa sotto le sue volte lisce e perfette”. E Andric fatica, anche se dire fatica storce un po’ il concetto, ad astenersi dalla critica, dalla personale visione politica o super partes dello storico: “Quando un governo sente la necessità di promettere pace e benessere ai suoi sudditi mediante manifesti, bisogna stare attenti e aspettarsi il contrario”. Il libro, infatti, non è storico, se non nel senso che si avvale della storia di un luogo per raccontarne infiniti risvolti. Infine, se mi si passa la velleità di “criticare” un romanzo di questo calibro, credo personalmente che il finale, così come ogni camminata su un ponte, sia la parte meno riuscita e meno emozionale di un grande, grandissimo capolavoro che ho avuto l’onore di incrociare.