Leonardo Sciascia – Dalla parte degli infedeli

Compio l’ingrato dovere di significare alla Ecc. Vostra Rev.ma che a Patti, nelle elezioni amministrativo ha vinto il comunismo… è vergogna, se non delitto imperdonabile, che ciò che sia avvenuto a Patti sede Vescovile… Dappertutto si lavora per Dio, a Patti si è lavorato per Satana… Cosciente di aver compiuto il mio dovere di sacerdote e di cittadino lascio il mio posto di combattimento, non senza però elevare una parola di forte biasimo contro tutti coloro che hanno tradito la Democrazia Cristiana e per conseguenza la Chiesa… Mi auguro che l’Autorità Ecclesiastica per il bene comune, della Chiesa e di Patti, intervenga subito a risolvere la crisi che travaglia i vari ceti sociali da essa dipendenti, con provvedimenti energici e con assistenza continua ed intelligente, sen on si voglia correre il rischio di avere a Patti definitivamente oltre la sede del Vescovo anche quella di Stalin.

 

DUE PAROLE

L’assurda storia del Vescovo di Patti, Monsignor Ficarra, rimosso (a sua insaputa!) dalle sue mansioni su decisione delle alte cariche vaticane, spinte a loro volta da voleri ancor più alti della Democrazia Cristiana. In una regione totalmente controllata dalla DC, la pecora nera delle diocesi sicule sembra non voler portare le proprie pecore all’ovile. Vince, infatti, con insistenza il partito comunista (nascosto a volte da liste civiche) e ciò, per chi comanda, è insostenibile.
Sciascia ricostruisce la vicenda avvalendosi delle comunicazioni inviate da Cardinali, Arcivescovi e politici, intervallandole con chiose pregne della sua sagacità, da parzialissimo narratore. È un libro comico, per certi versi, divertentissimo, non solo per la goffaggine con la quale si muovono i parrucconi del Clero, o i vari pasdaran di turno (pomposi e sgrammaticati come nel più classico film fantozziano) ma anche per la mancanza di estratti epistolari dello stesso Ficarra. Come se l’assurdità di alcuni solleciti non rendesse necessaria a Sciascia, ai fini del rigore narrativa, la prevedibile, banale e scontata risposta (altro, d’altronde, non potrebbe essere) del povero perseguito.
Basti pensare alla carica conferita al Ficarra (si intenda un subdolo contentino) al momento della sua dimissione: “Arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica”. Meraviglioso! Promosso ad Arcivescovo, sì, d’un posto inventato! V’è, in poche parole ed in un solo titolo, quello che l’autore centra con precisione, che dev’essere di primo interesse al lettore e che parafraso qui di seguito “quella megalomania, quell’esaltazione, sono la normale – in tutta l’Italia normale – corsa alla detenzione del potere, dal fascismo naturaliter ereditata, cui lui a Patti era da ostacolo: da ostacolo nella sua indifferenza al potere politico, alla politica; nella sua diffidenza o avversione a contaminarsene, a rendersene partecipe o complice.”
Ed è per questo che questo brevissimo libro, pur raccontando una vicenda bislacca e stereotipata, risulta una lettura doverosa, perché negli anni, dal fascismo alla DC, alle sue attuali forme di riciclo, questa voglia di megalomania e prepotenza torna sempre a infastidire qualcuno.

 

INFO UTILI

poco più di un’oretta di lettura
in copertina un quadro di Francis Bacon, “Study after Velazquez’s Portrait of Pope Innocent X”