DAL TESTO
L’aspetto essenziale era invece che tu restavi al di fuori del tuo stesso consiglio, eri un uomo sposato, un uomo puro, superiore a quelle cose: per me, a quel tempo, la questione era forse ulteriormente accentuata dal fatto che anche il matrimonio mi appariva una cosa indecente, e non potevo certo applicare ai miei genitori ciò che avevo sentito dire sull’argomento. Così tu diventavi ancora più puro, ti elevavi ancora più in alto. Non riuscivo a concepire che, prima di sposarti, tu avessi potuto dare a te stesso un consiglio simile. Così alla tua persona non restava addosso praticamente neppure un granello di sporcizia terrena. E proprio tu, con poche parole esplicite, mi spiengesti dento a quella sporcizia, come se io vi fossi stato destinato. Per la mente mi frullava un’idea che mi piaceva molto: se al mondo ci fossimo stati soltato tu ed io, allora con te finiva la purezza e, grazie al tuo consiglio, con me iniziava la sporcizia. Di per sè, risultava incomprensibile perché tu mi condannassi a quel modo; potevo spiegarmelo soltanto con antiche colpe e con il tuo più profondo disprezzo. E così ero di nuovo colpito, e con grande durezza, nel più profondo del mio essere.
ORIGINI
Lettera al padre – Franz Kafka – 1952
Egon Schiele – Dead Mother – 1910
DUE PAROLE
Tra le mie ultime letture, soltanto un paio di testi avevano affrontato con paritetica forza d’urto il delicato complesso che si instaura fra ogni genitore ed il proprio figlio. Queste erano “morte a credito” di Louis Ferdinande Céline, e “lessico famigliare” di Natalia Ginsburg. Come al solito Kafka mi sorprende per la sua precisione inesorabile nel racconto, per il suo senso di analisi quasi alieno nei confronti dei sentimenti umani e per la lucidità con la quale maneggia gli stessi. La lettera, che ancora richiama dubbi sulla natura di una possibile stesura romanzata, è un gesto di coraggio enorme e smisurato, che scardina la serratura freudiana e ci regala, forse, qualche spiegazione in più sui conflitti che resero lo scrittore boemo quel fragile essere che conosciamo. Il gesto è crudele, non solo per la perentorietà insita nello scrivere, ma anche per le immagini utilizzate a sostegno di ogni tesi. L’accusa efferata che Franz conduce nei confronti di Hermann non può permettersi falle. Il giovane Kafka sa che l’unico territorio agibile per uccidere il genitore è quello della letteratura (che, non a caso, non consente agevole replica). Con maestria, altrettanto irreprensibilmente, ogni parola concorre a distruggere l’immagine dell’uomo che ha cresciuto l’autore. Un rigurgito bilioso covato anni. Espulso, accumulato, selezionato e infine minuziosamente riassemblato in questo brevissimo mosaico di rivalsa passato alle stampe come “Lettera al padre”.