Giuseppe Tomasi di Lampedusa – Il Gattopardo

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DAL TESTO 

Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò che il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane; le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto.

 

DUE PAROLE

Il sonno, la morte l’immobilità e l’oblio. Il macabro fascino della decadenza, della polvere, del lento tentativo di fermare il tempo nella sua eternità. Tomasi di Lampedusa dipinge perfettamente la malia siciliana in un romanzo tanto provinciale quanto caratteristico e profetico. Un monito a qualsiasi paese restio al progresso. La semplicità della riflessione, la portanza di una frase tanto banale quanto incisiva, in quel “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Un concetto talmente eterno da trovare sbocco ad ogni livello pratico. Si pensi ai lavaggi di immagine, alle campagne pubblicitarie, alle rivoluzioni apparenti nella storia dell’umanità. Con vivo ricordo al finale del capolavoro di Orwell, 1984, penso all’obiettivo ultimo di ogni élite governativa: il sostentamento della sua eterna continuazione. Il mantenimento del suo potere. Lo sa benissimo Don Fabrizio, già bramoso di morte. Il pretesto è dei più caratteristici, uno scontro generazionale fra il nuovo che avanza (Tancredi, Angelica, Garibaldi e l’Italia stessa) ed il sistema che vuole mantenersi (la Sicilia culturale, non geografica). La catarsi si compie, effettivamente. Non è importante chi deterrà il potere. È fondamentale che il potere stesso venga costantemente prolungato. Alla fine del romanzo, effettivamente, tutto è cambiato, il gattopardo morto, la nuova nazione creata. Ma come il cane Bendicò, tornato polvere ammucchiata, riposa nell’oblio, anche il nuovo paese e la nuova società, dovranno fare i conti con la loro non eterna esistenza. Specialmente con la loro medesima fine.

 

INFO UTILI

280 pag, 9 ore di lettura circa
opere affini: Simonetta Agnello Hornby, La monaca

 

ORIGINI

Giuseppe Tomasi di Lampedusa – Il gattopardo – 1958
Pompeo Mariani