Knut Hamsun – Fame

Osvaldo Licini, “Amalasunta occhio giallo”, 1950

 

 

DAL TESTO

Perché mi preoccupavo di ciò che dovevo mangiare, di ciò che dovevo bere, del modo di vestire questo miserabile sacco di vermi che chiamano corpo mortale? Non ci aveva già pensato forse il mio Padre celeste come per i passeri del cielo, e non mi aveva forse fatto la grazia di indicare con la Sua mano, me, Suo umile servo? Dio aveva messo un dito nella rete dei miei nervi portando delicatamente un po’ di disordine fra tutti quei fili. Poi aveva ritirato il dito e, guarda un po’, vi erano rimaste attaccate alcune piccole fibre, pezzettini di nervi, di radici. E quel dito aveva lasciato anche il buco aperto, ed era il dito di Dio e a quel dito erano dovute anche le ferite del mio cervello. Ma dopo avermi toccato col dito Dio mi lasciò, non mi toccò più e non mi fece più alcun male; mi lasciò andare in pace col buco aperto. E nulla di male mi verrà da Lui, da Lui che è il signore per tutta l’eternità…

 

DUE PAROLE

La fame di Hamsun è un campanello che suona ogni volta che l’uomo prova ad elevarsi, il costante richiamo alla terra e alla nostra natura mortale di esseri soccombenti. Il peregrinare per Christiania (l’attuale Oslo) del protagonista in preda a personali deliri dettati dal freddo e dalla mancanza di cibo viene raccontato in maniera lisergica e deviata, in costante colloquio con la più lucida follia. “Fame” parla, più che dell’assenza di cibo, di una reale mancanza di speranza intellettuale. “Fame” è una percezione, uno stato di esistenza. Percepibile con il corpo ma sviluppabile dal pensiero. È il nostro privilegio e la nostra croce, una visione leopardiana della vita, giustificata in quei miseri sprazzi di bellezza dal dolore e dalla sofferenza. Lo spiega lo stesso autore in un passaggio illuminante: “Ecco, le cose stanno in questo modo: la mia povertà ha acuito in me certe facoltà al punto che talvolta mi provocano vere sofferenze. Sì, vi assicuro, vere sofferenze, purtroppo. Ma anche questa sensibilità ha i suoi vantaggi. In certe situazioni mi è di aiuto. Il povero intelligente è un osservatore assai più sottile che non il ricco intelligente. A ogni passo che fa, il povero si guarda attorno e tende l’orecchio diffidente da tutte le parole di color che incontra. Ogni suo passo presenta, per così dire, un compito, una fatica ai suoi pensieri e sentimenti. Egli ha l’udito acuto e sensibile, è esperto e ha l’anima segnata da cicatrici”.
Il privilegio di soffrire porta consapevolezza.

 

INFO UTILI

Pag 180, 4 ore e mezza di lettura circa
Letture affini : Max Blecher – Accadimenti nell’irrealtà immediata

 

ORIGINI 

Knut Hamsun – Fame (Sult) – Gli adelphi edizione
Osvaldo Licini, “Amalasunta occhio giallo”, 1950