Aleksandr Puškin – Umili prose

Il pensiero d’amor distruggendo,
Vorrei la bella dimenticar,
E, ahi, Maša fuggendo,
Provo la libertà a riconquistar!

Ma quegli occhi che m’hanno incantato,
Sono sempre davanti a me;
Il mio spirito hanno turbato,
La mia pace hanno preso con sé.

Le mie pene, avendole apprese,
Abbi, Maša, pietà di me,
Tutto solo in crudele paese,
E del tutto in balia di te.

 

 

DUE PAROLE

Umili prose, un titolo bellissimo per uno dei padri fondatori della moderna letteratura russa. Uno che chiese all’editore di sussurrare il suo vero nome ai lettori. Si raccolgono in questo libro, tradotto da Paolo Nori, tutte le opere in prosa del grande scrittore (non tutte tutte). “I racconti del povero Ivan Petrovič Belkin”, “La donna di picche” (che alcuni traducono come “la dama di picche”), “Kirdžali” e, infine, “La figlia del capitano”, sulla quale più di ogni altro racconto vorrei soffermarmi. È una storia eroica, un racconto cavalleresco e passionale durante il quale, effettivamente, si ha l’impressione di leggere il canovaccio di tutte le altre storie russe e cavalleresche che di lì a poco seguiranno. Ne ripercorro a grandi linee la trama, che così spesso tendo a dimenticare con lo scorrere degli anni: il giovane nobile Pëtr Andréevič Grinëv inizia il suo servizio militare, si innamora della figlia del capitano in servizio, la bella Mar’ja, che chiede in sposa. Si susseguono una serie di ostilità che impediscono ai giovani di realizzare il proprio sogno. Non solo, infatti, i due incontrano l’ostilità dal padre di lui, ma gli eventi esterni diventano sempre più instabili e drammatici. Poco lontano dalla fortezza imperversa la furia di uno spietato brigante chiamato Pugačëv (quel Pugačëv: la narrazione di Puškin sconfina e attinge anche dalla cronaca storica) il quale, dopo breve assedio, prende possesso del villaggio uccidendo anche i genitori di Maša. Graziato dall’usurpatore (grazie ad un precedente narrato ad inizio racconto) Pëtr è costretto ad abbandonare la fortezza e a riunirsi alle forze imperiali. Vi è un continuo mescolamento del torbido con la purezza. L’onore degli eroi e dei “belli”, dei puri, contro la viltà dei truffatori e dei facinorosi come Pugačëv. Vi è ovviamente un lieto fine. Dopo essere accusato di tradimento e dopo altri rocamboleschi rovesci di scena, Pëtr e Mar’ja riusciranno a coronare il loro amore aiutati dalla benevolenza della zarina. È proprio questa perfezione di caratteri e vicissitudini che conferisce ai testi di Puškin quell’aria di “canone” compositivo e creativo. Sono felice, infondo, di aver affrontato e letto Puškin adesso, dopo decine e decine di suoi illustri successori. È stato come chiudere un cerchio. Rimane la grandissima difficoltà di spiegarmi e spiegarvi la sua grandezza ma, per fortuna, posso far mie le parole di Charms, scoperte sempre grazie a Paolo Nori, che meglio di tutti, secondo me, è riuscito a suggellare la sua stima per il gigante scrivendo queste righe:

“è difficile parlare di Puškin a qualcuno che di lui non sa niente. Puškin  è un grande poeta. Napoleone è meno grande, di Puškin. E Bismark, in confronto con Puškin, non vale niente. E Alessandro primo e secondo, e  terzo, in confronto con Puškin sono delle vesciche. Tutti, in confronto con Puškin, sono delle vesciche, solo in confronto con Gogol’, lo stesso Puškin è una vescica. E allora anziché scrivere di Puškin , è meglio se scrivo di Gogol’. Anche se Gogol’ è tanto grande, che di lui non si può scrivere niente, pertanto scrivo di Puškin. Ma dopo Gogol’, scrivere di Puškin vien quasi vergogna. E di Gogol’ scrivere non si può. Allora è meglio se non scrivo niente di nessuno.
Ecco.”

 

 

INFO UTILI

Circa 4 ore di lettura, più o meno eh. Forse sono stato lento io.
Edizione Feltrinelli tascabili, ISBN 9788807901331