Antonio Fogazzaro – Piccolo mondo antico

«Però, professore», disse Luisa uscendo con la parola viva da un corso occulto d’idee, «si può, non è vero, credere in Dio e dubitare della nostra vita futura?» Ell’aveva posato, così dicendo, l’aggrovigliata matassa della pesca e guardava il Gilardoni in viso con un interesse vivo, con un desiderio manifesto che rispondesse di sì; e, perché il Gilardoni taceva, soggiunse: «Mi pare che qualcuno potrebbe dire: che obbligo ha Iddio di regalarci l’immortalità? L’immortalità dell’anima è una invenzione dell’egoismo umano che in fin dei conti vuol far servire Iddio al comodo proprio. Noi vogliamo un premio per il bene che facciamo agli altri e una pena per il male che gli altri fanno a noi. Rassegnamoci invece a morire anche noi del tutto come ogni essere vivente e facciamo sin che siamo vivi la giustizia per noi e per gli altri, senza speranza di premi futuri, solo perché Iddio vuole da noi questo come vuole che ogni stella faccia lume e che ogni pianta faccia ombra. Cosa Le pare, a Lei?» «Cosa vuol che Le dica?», rispose il Gilardoni. «A me pare una gran bellezza! Non posso dire: una gran verità. Non lo so, non ci ho mai pensato; ma una gran bellezza! Io dico che il Cristianesimo non ha potuto avere né immaginare dei Santi sublimi come questo qualcuno! È una gran bellezza, è una gran bellezza!» «Perché poi», riprese Luisa dopo un breve silenzio, «si potrebbe forse anche sostenere che questa vita futura non sarebbe proprio felice. Vi è felicità quando non si conosce la ragione di tutte le cose, quando non si arriva a spiegare tutti i misteri? E il desiderio di saper tutto sarà esso appagato nella vita futura? Non resterà ancora un mistero impenetrabile? Non dicono che Dio non si conoscerà interamente mai? E allora, nel nostro desiderio di sapere, non finiremo a soffrire come adesso, anzi forse più, perché in una vita superiore quel desiderio dev’essere ancora più forte? Io vedrei un solo modo di arrivare a saper tutto e sarebbe di diventar Dio…» «Ah, Lei è panteista!», esclamò il professore, interrompendo. «Ssss!», fece Luisa. «No no no! Io sono cristiana cattolica. Dico quel che altri potrebbero sostenere.»

 

DUE PAROLE

Da quella che, magari ingenuamente, o erroneamente, mi è sembrata una ripresa dei promessi sposi (ma son convinto di esser stato malamente influenzato da “La chimera” del Vassalli, di fresca lettura) si erge un’altra colonna della letteratura italiana. Siamo sul lago di Lugano, alla fine del diciannovesimo secolo. S’è da fare un altro matrimonio; si sposano il giovane, cattolico, ed un po’ bigotto, seppure onesto, Franco, con la bella e schietta Luisa. Si scontrano due mondi scomodi, incompatibili. Lo stato di quiete della tradizione, della vecchiaia, della parte nobiliare del tempo, contro la modernità, la borghesia che avanza. L’intreccio del romanzo è, infatti, sia storico che culturale. Si affrontano (di rimando metaforico) i temi di un’Italia in costruzione e potenzialmente impegnata in un conflitto bellico, contro –come detto – il vecchio e nuovo mondo della società dell’epoca. I personaggi fondamentali che delineano questa seconda linea di lettura sono appunto, oltre ai due sposi, la vecchia Marchesa, con la sua ottusa reticenza, e il “progressismo funzionale” dell’ingegner Piero, zio di Luisa, nonché padre acquisito-mancato della stessa. Nella costellazione che li circonda si alternano parecchie comparse, che Fogazzaro sottolinea avvalendosi del loro idioma nativo, facendoli parlare con virtuose espressioni (a volte intere frasi) dialettali.
Il dramma centrale della vicenda, la perdita della piccola Maria, detta Ombretta, ha anch’esso utile ambivalenza. Se dal punto di vista sociale il lieto fine del romanzo porta con se un messaggio di perseveranza dell’inevitabile arrivo del nuovo che avanza, e di una sua costante ed inestinguibile ricomparsa, dal punto di vista storico è invece leggibile come una rifondazione, meglio dire nuova fondazione, del paese stesso. La fenice del carattere italiano. E da buon paese intriso di cattolicesimo (direi soccombente al qui citato) il dramma profondo viene visto come castigo divino da tutti i partecipanti. Tutti, forse anche l’illuminato zio, sembrano avvolti da una cieca patina di rassegnazione al compimento cattolico, biblico, del loro destino.

 

INFO UTILI

non so quante ore di lettura, tante comunque. Letto da Kindle.
In copertina un quadro di Manet – Le balcon, credo.