Auto da fé + Paul Klee

Gaze of Silence, a 1932 painting by Klee that took abstraction even further.


DAL TESTO

La scienza aveva fitto loro in testa la fede delle cause. Essendo persone di mondo, si attenevano fedelmente alle usanze e alle opinioni maggiormente diffuse nel loro tempo. Amavano il piacere e spiegavano tutto e tutti col desiderio di conseguire il piacere; era la mania del momento, una mania che dominava tutte le teste e dava ben scarsi risultati. Naturalmente essi intendevano per piacere i vizi tradizionali che, da quando esistono le bestie, il singolo ha sempre praticato con infame assiduità.
Quando alla ben più profonda ed essenziale molla della storia – l’impulso che spinge gli uomini a collocarsi in una specie di animale superiore, la massa, e a perdersi così completamente in essa come se un singolo uomo non fosse mai esistito -, loro non ne sapevano proprio niente. Questo perché erano persone colte, e la cultura è un salvagente dell’individuo contro la massa che è in lui.
Noi conduciamo la cosiddetta lotta per l’esistenza non solo per soddisfare la fame e l’amore, ma anche per soffocare in noi la massa. In determinate circostanze essa diventa così forte da costringere l’individuo a compiere azioni disinteressate o addirittura contrarie al suo interesse. L’umanità esisteva, come massa, già molto prima di venire inventata – e annacquata – in sede concettuale. Essa ribolle in noi tutti, animale mostruoso, selvaggio, focoso e turgido di umori, nel fondo del nostro essere, più profonda delle madri. Nonostante la sua età l’animale più giovane, la creatura essenziale della terra, la sua meta e il suo avvenire. Di essa noi non sappiamo nulla, viviamo ancora come presunti individui. A volte la massa ci si riversa addosso, una tempesta muggente, un unico oceano fragoroso, nel quale ogni goccia vive e vuole la stessa cosa di tutte le altre. Per il momento essa tende ancora a dissolversi di nuovo, e allora noi torniamo ad essere noi stessi, dei poveri diavoli solitari. Nel ricordo non riusciamo a concepire l’idea di essere mai stati tanto numerosi, tanto grandi e tanto uniti. “Una malattia” dichiara uno, afflitto da troppa intelligenza. “La bestia nell’uomo” fa eco conciliante l’agnello dell’umiltà, senza sospettare quanto vicina al vero sia la sua errata definizione. Frattanto, dentro di noi, la massa si separa a un nuovo assalto. Un giorno, magari dapprima in un solo paese, non tornerà a dissolversi, e da questo dilagherà poi ovunque, finché nessuno potrà dubitare di essa, non essendoci più nessun io, tu, lui, bensì soltanto lei, la massa.

 

DUE PAROLE

Quando Canetti consegnò la prima copia di Die Blendung a Thomas Mann, si aspettava che quest’ultimo la leggesse di filato, immergendosi completamente in essa. Pretesa velleitaria, quasi quanto quella dello stesso Mann quando chiedeva ai suoi fidati lettori di concedersi una seconda lettura de “la montagna incantata” per apprenderne meglio la sua completezza. “Auto da fé” è un libro molto impegnativo, monolitico e sabbioso nonostante la vivacità dei temi ed il suo spiccato umorismo. Opera unica, composta a Vienna intorno agli anni 30, si snocciola in tre parti distinte ed assai prolisse. Il protagonista è il sinologo Peter Kien, dotato di memoria prodigiosa. Fiero possessore di una delle più fornite biblioteche della città, coltivata nel suo appartamento privato persino a discapito delle inutili e troppo fuorvianti finestre. Intorno alla sua figura ruotano i pochi personaggi presenti. La governante, poi moglie, Therese; il nano truffatore e sedicente campione di scacchi Fischerle, che tanto richiama il piccolo Oskar de “il tamburo di latta”; il portiere Pfaff ed infine il fratello di Kien, psicologo, figura esterna alla vicenda, che giunge come una specie di deus ex machina ad osservare gli eventi e giustificare, analiticamente, il senso del romanzo. Proprio dalle pagine finali è stata estratta la parte di lettura sopra riportata.
Come spiega lo stesso Canetti, Auto da fé è e voleva essere un libro sulla massa. La straordinarietà di questo lavoro risiede nella maestria con cui l’autore è riuscito a mantenere, grazie ad un uso più che copioso di luoghi comuni e frasi fatte, una spersonalizzazione dei suoi personaggi. Auto da fé è il punto più lontano ed opposto alla letteratura esistenzialista. Nessuno infatti, all’interno del romanzo, pare realmente umano, dunque pensante. Ogni figura è caratterizzata con l’estremismo della caricatura. Psicologo a parte, nessuno, nemmeno Kien con la sua poderosa intelligenza, risulta pensare in maniera razionale. I ragionamenti sono dettati dal pensiero comune, lo inseguono soggiogati, ed ogni individuo interpreta all’estremo le sue irremovibili idee. Gli uomini sono rappresentazioni, immensi contenitori svuotati dall’interno, vasi vuoti che capaci di far rimbombare ottusamente grette opinioni. Il distacco fra realtà e immaginazione suona come una fastidiosa rottura ogni volta che il senno sembra inevitabilmente rendersi necessario. Non esiste verità, poiché non esiste alcuna relatività oggettiva. Nulla ha senso. Nella massa tutto è ragione, così come tutto è bugia.

 

INFO UTILI

531 pagine : 20 ore di lettura c.ca.
Opere affini : Ulysse – J.Joyce; Il tamburo di latta, G.Grass; La montagna incantata; T.Mann.

 

ORIGINI

Gaze of silence – Paul Klee – 1932
Auto da fé (Die Blendung) – Elias Canetti – 1935