David Foster Wallace – Il tennis come esperienza religiosa

Ovvio, negli sport maschili nessuno parla mai della bellezza, della grazia, o del corpo. Gli uomini possono professare il loro “amore” per uno sport, ma questo amore deve sempre essere espresso e rappresentato nella simbologia della guerra: eliminazione e avanzamento, gerarchie e rango e posizione, statistiche maniacali, analisi tecniche, fervore tribale e/o nazionalistico, uniformi, frastuono collettivo, bandiere, petti percossi, facce dipinte, ecc. Per ragioni che non sono totalmente chiare, molti di noi trovano i codici della guerra più sicuri di quelli dell’amore.

 

DUE PAROLE

Il sontuoso elogio al tennis ed al suo Dio Svizzero, Federer. David Foster Wallace analizza la grande passione sportiva della sua vita, traendone spunti incantevoli di riflessione. Lo fa compendiando l’ascesa al trono di Re Roger e della peculiarità di cui solo gli atleti come lui dispongono: uno stato di manifesta eleganza. Una semplicità di successo che dovrebbe evidenziarci facilmente come queste persone percepiscano l’ambiente che li circonda in maniera diversa da noi comuni mortali. I toni del ritratto di DFW sono a volte mistici (non a caso il titolo esprime già di per sé con ironia questa sorta di idolatria), ne riporto un esempio: “Ci sono tre spiegazioni valide per l’ascesa di Federer. La prima cha a che vedere con il mistero e la metafisica ed è, a mio avviso, la più vicina alla verità. Le altre sono più tecniche e funzionano meglio come giornalismo. La spiegazione metafisica; è che Roger Federer è uno di quegli atleti preternaturali che sembrano dispensati, almeno in parte, da certe leggi della fisica. Di questa categoria fanno parte Michael Jordan, che non solo saltava ad altezze disumane ma riusciva anche a rimanervi sospeso per una o due battute in più di quanto consenta la gravità, e Muhammad Alì, che letteralmente “fluttuava” sul ring e nel lasso di tempo necessario ad assestare un jab riusciva a piazzarne il triplo. Ci sono probabilmente una mezza dozzina di altri esempi che si potrebbero portare dal 1960 ad oggi. E Federer è di questa specie. Una specie che si potrebbe definire di geni, o mutanti”. Siamo infatti, ed io concordo pienamente, più nei confini dell’estetica che dell’efficacia, e a tal proposito mi ha enormemente sorpreso l’assenza nel testo di uno dei motti più strapazzati della letteratura, la famosa frase Dostojevskiana “La bellezza salverà il mondo”. Le armi dello svizzero, le vere differenze rispetto alla pletora di sfidanti al trono, sembrano appunto essere doti come l’eleganza, la bellezza, l’armonia, la genialità, l’istinto, la semplicità, il fascino della fisica delle sue traiettorie e non certo concetti barbari come forza, violenza, spietatezza, eccetera eccetera. Vorrei davvero stressare al massimo questo concetto di visione del mondo come un concetto vincente. Ovvio, serve del talento innato e rarissimo per applicarlo, ma ciò non toglie che potremmo sporadicamente reimpostare i nostri canoni di apprendimento e di valutazione su questi binari, piuttosto che – come sempre e soltanto accade – a quelli dell’efficacia e dell’industriale produzione a catena di risultati. È questo il messaggio supremo del pamphlet di Wallace. In un mondo sempre più tecnico e agonistico, un mondo sempre più brutale, più industriale, direi anche robotico, la dozzina di atleti che l’autore ci elencava come inumani o mutanti ci possono guidare come dei messia nell’interpretazione della vita in maniera diversa, più ampia, semplicemente migliore.