La sua felicità mi ha sconvolta: era come una cosa viva, in quella stanza… un pianto impercettibile. E il bambino? – ha detto – se avessi un bambino al quale fare da padre… Bob ha scrollato la testa, stancamente. – No. È stata una pazzia. Come incaricare Bentley di leggermi quel film, per poter toccare un po’ il passato per il suo mezzo. Permettergli di fecondarti prima che ti portassi via a lui. È stato tutto stupido… è ciò che causano i sentimenti, quando li si lascia fare.-
Poi è sceso dalla scala, mi ha posato gentilmente la mano sulla spalla. –tutto quello che voglio, Mary, è morire.
Ho guardato quella triste faccia bruna con la fronte ampia aggrottata e gli occhi teneri. –Se nasce il mio bambino…
– Sono programmato per vivere finché ci saranno esseri umano da servire. Non posso morire fino a quando non sarà più rimasto nessuno di voi. Voi… -, E all’improvviso, sorprendentemente, la sua voce è esplosa. – Voi della specie homo sapiens, con la vostra televisione e le vostre droghe. La sua collera mi ha spaventato per un momento. Ho taciuto. Poi ho detto: – Io sono Homo sapiens, Bob. E non sono così. E tu sei quasi umano. O più che umano. Bob si è distolto da me, e mi ha tolto la mano dalla spalla.
– Sono umano- ha detto. – Tranne che pe la nascita e per la morte. – E’ tornato alla scala. – E sono stanco della vita. Non l’ho mai voluta. L’ho fissato. – E’ così per tutti. Neppure io ho chiesto di nascere.
– Tu puoi morire – ha detto lui. Ha cominciato a salire la scala. All’improvviso mi ha colpita un pensiero orribile. – Quando saremo morti tutti… quando questa generazione si sarà estinta, allora potresti ucciderti?
– Sì – mi h risposto. – Credo di sì.
– Non lo sai? – Ho chiesto, alando la voce.
– No – ha detto. – Ma se non saranno più esseri umani da servire…
– Gesù Cristo! – ho detto. – Sei tu la ragione per cui non nascono più bambini?
Bo mi ha guardata. – Sì – mi h risposto. Dirigevo il controllo della popolazione. Conosco il sistema.
DUE PAROLE
In un futuro prossimo, verso la fine del ventiseiesimo secolo, la popolazione umana è in via di estinzione. Il mondo è scarsamente popolato da individui intrappolati in una rigorosa ignavia che ha creato una spirale di ozio ed abissale apatia. La fatiscenza umana è accompagnata da quella tecnologica, i servizi sono forniti da robot ugualmente stupidi e idioti che stanno lentamente conducendo la società e cultura all’auto distruzione. In questo scenario semi apocalittico si incrociano le tre storie dei protagonisti. Il melanconico ed intelligentissimo robot serie 9 Spofforth, onnisciente, depresso. Lo studente di film antichi Paul Bentley e la donna di cui entrambi si innamorano: Mary Lou, unica femmina fertile del pianeta. Eva o Madonna, ad ogni modo iconoclasta.
Il romanzo è un brillante esercizio di stile fantascientifico, zeppo di virtù narrative: la superiorità della macchina soggiogata dall’impossibilità di togliersi la vita finché dotata di un obiettivo. La rigidità dell’industria, della macchina intesa come oggetto umano e come serie di sequenze programmate senza un motivo superiore (bellissimo il passaggio al faro abbandonato con la catena di produzione in interminabile fermento). Il parallelismo fra il saturo cervello umano di Spofforth in cerca di pace, contro l’empio cervello sedato di Bentley, in cerca di risveglio. Il perno della memoria sul quale ruotano tutte e tre i racconti.
E anche nei passaggi banali il gioco di Tevis regge, ad esempio nel banalissimo percorso formativo di Bentley attraverso la potenza della lettura. L ‘illuminazione che solo i libri e la presa di coscienza del nostro io sanno dare. Banale, dicevo, ma egualmente efficacie. Casca, a mio avviso, se c’è davvero qualcosa che caschi in questo romanzo oltre a Spofforth, la sterile satira alla società americana devota alla bibbia e alla nostra religione. Il ritorno di Bentley nella comunità bigotta dove conosce la sua unica altra innamorata è decisamente il tratto più debole del libro. Un libro che, secondo il mio modestissimo parere, avrebbe avuto un respiro decisamente più eterno senza questa provinciale parodia. Chiudo con un’altra piccola lamentela, non certo riservata all’autore, ma al traduttore, o forse alla nostra lingua stessa che impossibilitava la traduzione di “mockingbird”, diventato poi semplicemente “mimo”, ovvero un uccello capace di imitare, ripetendo stolidamente, i suoni degli altri, degli… “evoluti”. Quella voce nascosta nell’anima meccanica dell’umanità. Un eco che si ripete dove batte il cuore metallico dell’evoluzione post industriale.