Nel giro di qualche giorno centinaia di persone arrivarono al ranch dei Bundy da ogni parte dell’America rurale. Ma non erano pacifici manifestanti di campagna. Ogni genere di gruppo radicale e milizia armata raggiunse il Nevada, insieme a neonazisti, militari in pensione, reduci, anziani complottisti, ragazzotti radicalizzati su YouTube e microcelebrità dell’estrema destra. C’era Blaine Cooper, muscoloso attivista antigovernativo che una volta si era filmato mentre strofinava del bacon su una copia del Corano, per poi dargli fuoco e trafiggerlo con una freccia lanciata dal suo arco. C’era Jon Ritzheimer, un giovane ex militare che dopo essere tornato da una missione in Iraq aveva cominciato a improvvisare dei rabbiosi sit-in di protesta davanti alle moschee, e veniva invitato nei talk show quando serviva qualcuno che parlasse male degli immigrati e dei musulmani. C’era Pete Santilli, ovviamente. C’era David Fry, un nerd ventisettenne dell’Ohio mezzo giapponese che era ossessionato dall’aborto e in passato era scappato da una clinica psichiatrica. C’era Robert LaVoy Finicum, un ranchero dell’Arizona che aveva guadagnato qualche notorietà nell’estrema destra statunitense scrivendo un romanzo distopico su come un governo socialista avesse trasformato gli Stati Uniti in una tirannia. Le proteste erano guidate da Ammon Bundy e da uno dei suoi fratelli più piccoli, Ryan, reso particolarmente riconoscibile da una deformazione al viso dovuta a un incidente: un pick-up lo aveva investito quando era bambino, rompendogli le ossa del cranio.
DUE PAROLE
Francesco Costa riesce nella difficilissima impresa di spiegare in nuce le contraddizioni, e quindi l’essenza, della nazione che più di ogni altra ha influenzato la cultura occidentale degli ultimi secoli. Nella maniera che contraddistingue già il suo stile giornalistico – diretto, semplice, narrativo e coniviale – l’autore ci mette di fronte alle dicotomie americane. Un paese tanto avanzato nella ricerca, nell’avanguardia tecnologica, ma persino nella beneficenza, quanto selvaggio e ottocentesco nella difesa della propria identità culturale. Un paese “nuovo”, “nato con “uno scopo preciso” che l’utopistica idea di libertà e degli uomini liberi. Con un’idea di Stato minimale, con l’intraprendenza personale al centro di qualsiasi progetto e sucesso. Forse il posto dove, più che da ogni altra parte, l’idea di individualismo è associata all’idea di successo. Si pensi anche alla guerra di indipendenza “. La stessa schiavitù portò a una Guerra di secessione perché non ci fu altro modo di decidere quale libertà dovesse prevalere tra quella dei neri e quella dei singoli Stati di decidere cosa fare dei neri.” Un paradosso continuo. Costa racconta poche incisive quanto indispensabili storie per sintetizzare questo assurdo mondo polarizzato. Dal rovinoso incidente delle acque contaminate di Flint, all’assedio per la liberta dell’allevatore Bundy, all’ascesa politica dei repubblicani aggressivi di Gingrich. Un testo a me utilissimo per togliermi di dosso decine di luoghi comuni inesatti. Ma soprattutto una cartina indispensabile per navigare nel mare di quella cultura che ha completamente permeato la nostra vita “europea”.