«L’orgoglio», osservò Mary che teneva a dimostrare la profondità dei suoi pensieri, «è un difetto assai comune. Da tutto quello che ho letto, sono convinta che è assai frequente; che la natura umana vi è facilmente incline e che sono pochi quelli tra noi che non provano un certo compiacimento a proposito di qualche qualità – reale o immaginaria – che suppongono di possedere. Vanità e orgoglio sono ben diversi tra loro, anche se queste due parole vengono spesso usate nello stesso senso. Una persona può essere orgogliosa senza essere vana. L’orgoglio si riferisce soprattutto a quello che pensiamo di noi stessi; la vanità a ciò che vorremmo che gli altri pensassero di noi.»
DUE PAROLE
L’importanza e il successo di questo classico sono indubbiamente merito di un desiderio di protagonismo –qui inteso nell’accezione buona del termine – femminile. Nonostante la favola della rivincita sociale (Darcy nobile e ricco che si innamora della giovane ed orgogliosa provinciale Elizabeth) la caratteristica che più salta agli occhi del lettore è il senso di assolutismo dei suoi personaggi, che l’autrice tratta e descrive, per efficacia, in maniera quasi infantile. In un mondo popolato da donne giuste ed immutabili, cesellate per l’eternità nel ruolo dettato dai propri caratteri, si arrabattano una manciata di uomini. Sembra quasi che la classica distinzione fiabesca fra buoni e cattivi sia qui invece espressa con la stessa rigidità di giudizio del fato, pur fondandosi sull’assoluta soggettività dei caratteri. Non v’è un determinismo divino (pensiamo alla condanna inguaribile dell’amore che cade sulla testa di Anna Karenina) ma un arbitrio che richiama il senso di protagonismo cui accennavo nelle prime righe. Si legga questo paragrafo: “Se fossi stata innamorata non avrei potuto essere più stupidamente cieca! Ma la mia follia è stata la vanità, non l’amore. Lusingata dalla preferenza dell’uno e offesa dall’indifferenza dell’altro, fin dall’inizio della nostra conoscenza mi sono lasciata guidare dal pregiudizio allontanandomi dal buonsenso. Posso dire veramente di non essermi mai conosciuta prima d’ora!” La Austen, conscia della propria vanità, che insegue ed alimenta, ha saputo orchestrare un intero romanzo orientandolo ni tal senso, al fine di solleticare, prima di ogni lettrice, se stessa. Non è un caso che, nella lettura data su kindle, le frasi più sottolineate ed apprezzate dai precedenti lettori (lettrici?) fossero delle banalissime lusinghe alla bellezza e alla purezza di carattere di Elizabeth. Una proiezione di una donna futura e indipendente, pura, orgogliosa delle sue origini e capace di pensare per conto suo. Una donna super-partes che, diciamocelo, stride un pochino in questa bellissima favola –poiché Orgoglio e Pregiudizio è tale – dal più classico lieto fine: il matrimonio con il principe azzurro.