“Non è accaduto nulla in Europa” dissi.
“Nulla?” disse il Generale Guillaume “e la fame, i bombardamenti, le fucilazioni, i massacri, l’angoscia, il terrore, tutto questo è nulla per voi?”“Oh, questo è niente” dissi “son cose da ridere, la fame, i bombardamenti, le fucilazioni, i campi di concentramento, tutte cose da ridere, sciocchezze, storie vecchie. In Europa, queste cose le conosciamo da secoli. Ci siamo abituati, ormai. Non sono queste le cose che ci hanno ridotti così.”
“Che cosa, dunque, vi ha ridotti così?” disse il Generale Guillaume con voce cun po’ rauca.
“La pelle”.
“La pelle? Quale pelle?” disse il Generale Guillaume.
“La pelle” risposi a voce bassa “la nostra pelle, questa maledetta pelle. Voi non immaginate neppure di che cosa sia capace un uomo, di quali eroismi e di quali infamie sia capace, per salvare la pelle. Questa, questa schifosa pelle, vedete?”. (E così dicendo mi afferravo con due dita la pelle del dorso della mano, e andavo tirando qua e là).
“Una volta si soffriva la fame, la tortura, i patimenti più terribili, si uccideva e si moriva, si soffriva e si faceva soffrire, per salvare l’anima, per salvare la propria anima e quella degli altri. Si era capaci di tutte le gradezze e di tutte le infamie, per salvare l’anima. Non la propria anima soltanto, ma anche quella degli altri. Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima ma, per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle, soltanto per la propria pelle. Tutto il resto non conta. Si è eroi per una ben povera cosa, oggi! Per una brutta cosa. La pelle umana è una cosa brutta. Guardate. E’ una cosa schifosa. E pensare che il mondo è pieno di eroi pronti a sacrificare la propria vita per una cosa simile!”.
“Tout de meme…” disse il Generale Guillaume.
“Non potete negare che in confronto a tutto il resto… oggi, in Europa, si vende di tutto: onore, patria, libertà, giustizia. Dovete riconoscere che è una cosa da nulla vendere i propri bambini.”
“Voi siete un uomo onesto” disse il Generale Guillaume “non vendereste i vostri bambini”.
“Chi sa?” risposi a voce bassa “non si tratta d’essere un uomo onesto, non vuol dire nulla essere una persona per bene. Non è una questione d’onestà personale. E’ la civiltà moderna, questa civiltà senza Dio, che obbliga gli uomini a dare una tale importanza alla propria pelle. Non c’è che la pelle che conta, ormai. Di sicuro, di tangibile, d’innegabile, non c’è che la pelle. E’ la sola cosa che possediamo. Che è nostra. La cosa più mortale che ci sia al mondo. Solo l’anima è immortale, ahimè! Ma che cosa conta l’anima, ormai? Non c’è che la pelle che conta. Tutto è fatto di pelle umana. Anche le bandiere degli eserciti sono fatte di pelle umana. Non ci si batte più per l’onore, per la libertà, per la giustizia. Ci si batte per la pelle, per questa schifosa pelle”.
“Voi non vendereste i vostri bambini” ripetè il Generale Guillaume guardandosi il dorso della mano.
“Chi sa?” dissi “se avessi un bambino, forse lo andrei a vendere per potermi comprare delle sigarette americane. Bisogna essere uomini del proprio tempo. Quando si è vigliacchi, bisogna essere vigliacchi fino in fondo”.
DUE PAROLE
Mi piace pensare che la scuola di pensiero di Malaparte sul dilemma del “come” raccontare una guerra, sia la stessa di Kurt Vonnegut, ovvero: l’indicibilità. Sebbene quella de “la pelle” sia molto distante da quella di “mattatoio”, ad esempio, ci si può accorgere facilmente di un sottile meccanismo tutelativo con cui l’autore patina la verità. Il non-detto tutela la realtà, troppo disumana per essere descritta. Il comico grottesco e carnale sviscerato lungo ogni frase del testo è una risata amara che copre profonde lacrime. Tanti sono i parallelismi tracciabili per quest’opera. Forte, il sentore di Céline, sebbene Malaparte finisca per essere assurdamente più giornalistico. Imponente, a dir poco, il capolavoro di Camus “la peste”. Non solo per aver rubato il titolo iniziale di questo romanzo ed aver inficiato, quindi, in parte della sua creazione, quanto per il limite estremo tracciato dalle due situazioni di totale disumanità. La peste e La pelle sono un flagello divino che chiede senza indugi all’umanità di fare i conti con se stessa. La guerra, ben lo sappiamo, schiaccia gli uomini verso la loro grettezza e feralità. Laddove l’umano sparisce, spuntano dietro ogni angolo scenari disgustosi. Come raccontarli? L’oggettività descrittiva è distante. Non rimangono che due scelte, allora: il silenzio, o la caricatura. Ed è di quest’ultima che Malaparte abbonda. Ce lo dice il testo, ripieno di ripetizioni come a voler autoconvincere l’autore stesso. E ce lo dicono le situazioni egre ed abominevoli dei vari capitoli. Il controllo della verginità con le dita dei vincitori, la bambina pesce da mangiare, il club di invertiti marxsisti, il prete che spazza il sangue del giovane fascista terminato di fronte alla sua chiesa. Caramogi, reietti, malati. L’inferno partenopeo malapartiano è insopportabile, nauseabondo. Egli ci guida con il suo Virgilio di turno (si chiami esso colonnello Jack Hamilton, o tenente Jimmy Wren) e ci mostra ciò di cui siamo capaci. La pelle, come descritto nello stralcio soprastante, è ciò per cui lottiamo. Quello che sta sotto Malaparte ce lo fa intravedere in un breve passaggio
“Era un viso di carne (una carne di feto e insieme di vecchio, la carne di un feto vecchio), uno specchio dove la grandezza, la miseria, la superbia, la viltà della carne umana splendevano in tutta la loro stupida gloria. Quel che mi parve sopra tutto meraviglioso in quel viso era il miscuglio di ambizione e di delusione, d’insolenza e di tristezza, proprio del volto dell’uomo. E per la prima volta vidi la bruttezza del volto umano, lo schifo della materia di cui siamo fatti. Quale sudicia gloria, pensavo, è nella carne dell’uomo!”
INFO UTILI
342 pagine, quasi 9 ore di lettura.
Edizione Adelphi – ISBN 9788845925283