DAL TESTO
Il greco sembrava aver cambiato luna: forse gli era tornata la febbre, o forse, dopo i discreti affari della mattina, si sentiva in vacanza. Si sentiva anzi in vena di benevolmente pedagogica; a mano a mano che passavano le ore, il tono del suo discorso andava insensibilmente intiepidendosi, e in parallelo andava mutando il rapporto che ci univa: da padrone-schiavo a mezzogiorno, a titolare-salariato alla una, a maestro-discepolo alle due, a fratello maggiore-fratello minore alle tre. Il discorso tornò sulle mie scarpe, che nessuno dei due, per ragioni diverse, poteva dimenticare. Mi spiegò che essere senza scarpe è una colpa molto grave. Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale per l’inverso. – Ma la guerra è finita, – obiettai: e la pensavo finita, come molti in questi mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. – Guerra è sempre, – rispose memorabilmente Mordo Nahum.
ORIGINI
La tregua – Primo Levi – 1963
Un paio di scarpe – Vincent Van Gogh – 1886
DUE PAROLE
La Tregua è, innnanzi tutto, un racconto di viaggio. Come molti sapranno è la continuazione naturale del capolavoro di Levi, “se questo è un uomo”, ovvero, il percorso di ritorno a casa, in quella Torino immutata ed asettica nell’accogliere uomini di ritorno da tali barbarie, dei sopravvissuti di Auschwitz. Il libro viene steso anni dopo la reale esperienza ed è apprezzabile, per non dire azzardato, per l’autore, affacciarsi di nuovo alla scrittura dopo tutto ciò che ha vissuto e soprattutto dopo tutto ciò che è riuscito a trasportare sulle pagine. Ovvio che il paragone non può reggere tale peso, ma la scelta è ammirevole e, lo spiega anche Levi in alcuni passaggi, quasi doverosa. Primo per dimostrare come la vita possa e debba continuare anche dopo l’annichilazione dell’umanità umana. Secondo per l’individuo stesso, per l’uomo, per l’autore e per l’anima dell’arte. Come un fiore che nasce dal fango, questo libro, seppur non devastante come il primo, ne consolida la sua eternità.