Federico non rimpiangeva più niente; le sue sofferenze d’un tempo erano ripagate. Quando rientrarono a casa, Madame Arnoux si tolse il cappello. La lampada posata sulla console illuminò i suoi capelli bianchi. Federico ne sentì come un colpo in pieno petto.
Per nascondere la sua delusione s’era messo ai suoi piedi, le prese le mani, le disse delle cose tenere.
“Mi sembrava che la sua persona, che ogni suo minimo gesto fossero le cose più importanti del mondo. Il mio cuore era polvere che si sollevava dietro i suoi passi. Lei, per me, era come la luna in una notte d’estate: una notte tutta piena di profumi, dolcissime ombre, candori, orizzonti infiniti… E il suo nome che ripetevo a me stesso, che cercavo di baciare sulle mie labbra, conteneva tutte le delizie della carne e dell’anima… Non vedevo niente, non immaginavo niente al di là di questo. Lei era la signora che era, con i suoi due bambini, dolce e seria, bella da lasciar senza fiato, e così buona! Era un’immagine che cancellava tutte le altre, come avrei potuto pensarci, se la musica della sua voce, lo splendore dei suoi occhi erano sempre nel fondo del mio cuore?”
Rapita, lei accettava d’essere adorata come la donna che non era più, e Federico, stordito dalle sue stesse parole, cominciava a provare le cose che le andava dicendo. Madame Arnoux si chinò controluce verso di lui, sentì sulla fronte la carezza del suo respiro; avvertiva, attutito dalle vesti, il contatto imprecise del suo corpo. Le loro mani si strinsero, la punta del suo stivaletto spuntava appena dell’orlo della gonna, e Federico, sentendosi quasi mancare, le disse: “Il suo piede… vedere il suo piede mi turba”.
Con un moto di pudore lei s’era alzata. E poi, immobile, parlando con una strana voce da sonnambula: “Lei, Federico, alla mia età! Nessuna, nessuna è stata amata come me! A che vale la giovinezza? Non me ne importa niente; e io le disprezzo, capisce? Le disprezzo tutte, le donne che vengono in questa stanza!”
“Non ne viene nessuna”, rispose Federico compiacente.
Il viso di lei s’era illuminato; e volle sapere se stesse per sposarsi.
No, glielo giurava.
“E’ proprio vero? E perché?”
“Per causa sua” disse Federico stingendola fra le braccia. Lei non si ritraeva; la sua schiena si inarcava, la bocca era socchiusa, gli occhi girati verso l’alto. Ma a una tratto, disperatamente, lo respinse, e come lui la supplicava di dirgli qualcosa, le, chinando la testa:
“Volevo farti felice”
Federico ebbe il pensiero che fosse venuta per offrirsi, e fu ripreso da un desiderio furioso, più forte, più aspro che mai. Ma insieme sentiva qualcosa d’inesprimibile, una sorta di repulsione: il terrore, quasi, d’un incesto. O fu un altro timore a trattenerlo: quello, dopo, di provarne disgusto. E poi che momento difficile, imbarazzante sarebbe stato! Un po’ per prudenza, un po’ per non degradare il suo ideale, si trasse bruscamente da parte e si mise ad arrotolarsi una sigaretta.
Lei lo guardava con stupefazione.
“Quanta delicatezza! Nessun altro, nessun altro uomo al mondo…”
Suonarono le undici.
“Così tardi! Ancora un quarto d’ora, poi me ne andrò.”
Era tornata a sedersi, ma aveva gli occhi fissi sulla pendola. Federico andava avanti e indietro fumando. Nessuno dei due trovava più niente da dire. Quando ci si separa, c’è un momento in cui la persona amata è già lontana da noi.
DUE PAROLE
Non servirebbe aggiungere altro per apprezzar l’eleganza e l’altezza di questo romanzo (che non per caso ho riportato con più verbosità del solito). Bisogna però soffermarsi su una frase precisa e lapidaria, vera architrave di tutta l’opera stessa. “Ci si rifugia nel mediocre quando ci si dispera del bello, della bellezza che abbiamo sognato.”
I due binari, rettissimi, dove corre il romanzo sono la passione e l’incomprensione. Lungo questi assiomi lineari si sviluppano i numerosi piani di lettura sollevati di Flaubert, cardini dell’uomo ottocentesco (e di ogni epoca): la passione politica e sentimentale opposta alla dimensione sociale ed individuale.
L’uomo affronta le proprie ambizioni, le proprie aspettative e i propri desideri fallendo. Il rifugio nel mediocre diventa un mantra filosofico, una vera e propria via di fuga imprescindibile. Non solo perché, nel sogno, v’è un fattore di irrealizzabilità che farà sempre apparire ogni scelta concreta come una scelta sbagliata, ma anche perché nella delusione v’è un bellezza da ascoltare e benedire.
Educazione, appunto.
Tutti i protagonisti principali sono infatti vittime delle loro stesse ambizioni. La giovane Luisa, destinata a non essere amata da Federico. La marescialla, così bramosa di mondanità e frequentazioni importanti, distrutta dalla perdita del figlio. La signora Dambreuse, ingannata dal giovane Moreau. Il signor Arnoux, dal commercio e dai mancati affari. Senécal, dai suoi principi. Il buon Dussardier, dalla sua onestà e condizione. La rivoluzione stessa, infine. Che spegne, incompresa e incomprensibile, la sua sete di vendetta e sovversione proprio come i due protagonisti sopprimono flebilmente le loro passioni nella scena sopra riportata. Il miscuglio di bugie, incomprensioni, tradimenti, frustrazioni non risparmia nessuno. Viene esercitato da ogni persona, persino nei confronti di se stesso.
L’educazione sentimentale è una tragedia moderna, viva, immortale.
INFO UTILI
380 pagine, circa 10 ore di lettura.
edizione: I grandi libri garzanti (ISBN: 9788811360339)
in copertina: Andre Derain – “la niece du peintre assise”