Non cesserò mai di stupirmi che questa carne sostenuta dalle sue vertebre, questo tronco congiunto alla testa dall’istmo del collo, con le sue membra simmetricamente disposte intorno, contengano e forse producano uno spirito che si serve dei miei occhi e dei miei movimenti per palpare… Ne conosco i limiti, e so che il tempo non gli mancherà per andar più lontano, e la forza, se per caso il tempo gli fosse concesso. Ma esso è, e, in questo momento, è colui che È. So che esso sbaglia, erra, interpreta spesso a torto la lezione che gli impartisce il mondo, ma so anche che porta in sé di che scoprire e talvolta rettificare i propri errori. Ho percorso almeno una parte del globo nel quale ci troviamo: ho studiato il punto di fusione dei metalli e la generazione delle piante; ho osservato gli astri ed esaminato l’interno dei corpi. Sono capace di estrarre da questo tizzo che sollevo la nozione di peso e da queste fiamme la nozione di calore. So che non so quel che non so; invidio coloro che sapranno di più, ma so che anch’essi, come me, avranno da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute, stabilire nell’errore qual è la parte del vero e tener conto nel vero dell’eterna presenza di falso. Non mi sono mai ostinato su un’idea per timore dello smarrimento in cui cadrei senza di essa. Né ho mai condito di menzogne un fatto vero per rendermene la digestione più facile. Non ho mai deformato le opinioni dell’avversario per confutarle più facilmente, neppure durante il nostro dibattito sull’antimonio, quelle di Bombast, il quale non me ne fu grato. O piuttosto, sì: mi sono sorpreso a farlo, e ogni volta mi sono rimproverato come si sgrida un domestico disonesto, e ho ritrovato la fiducia solo dopo essermi ripromesso di far meglio. Ho avuto anch’io i miei sogni, e non gli attribuisco valore d’altro che di sogni. Mi sono guardato bene dal fare della verità un idolo; ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza. I miei trionfi e i miei pericoli non sono quelli che la gente s’immagina; ci sono altre glorie oltre la gloria e altri roghi oltre il rogo. Son quasi riuscito a diffidare delle parole. Morirò un po’ meno sciocco di come son nato.
DUE PAROLE
Dimenticatomi della bravura sovrannaturale della Yourcenar, torno ad una sua opera, una delle sue poche, e alla vita del medico Zenone, filosofo, medico e alchimista nato morto e vissuto intorno agli inizi del 1500. Una figura immaginaria di un uomo che percorre un secolo buio ma potenzialmente già pronto ad accogliere quegli squarci di luce che combatterono il buio dell’umana ignoranza cavalcando le scienze e le dottrine. La biografia di Zenone, e con sé il romanzo stesso, raccolgo infatti omaggi ed allusioni alle vite dei grandi personaggi della storia che, per affinità, avrebbero potuto gravitare intorno a questa specie di edotto negromante: l’anatomista Vesalio, il chirurgo Ambroise Paré, il botanico Cesalpino, il matematico e filosofo Gerolamo Cardano, l’ancor più famoso Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Niccolò Copernico e nientepopodimeno che lo stesso Galileo Galilei. Sono nomi altissimi, persone cui l’umanità ha riconosciuto a posteriori l’infinita eredità che, largamente incompresi, lasciarono a noi tutti. È significativo come la vita di Zenone sia stata un’incomprensione, un’eccellenza soffocata – morta fisicamente – nella superstizione e nell’ignoranza del tempo. Come per “La Chimera” di Vassalli, da poco letto, anche la Yourcenar decide di usare questi secoli così significativi in termini di massimo sfoggio della nostra cieca ottusità e sebbene l’esaurirsi dei due protagonisti termini in maniera molto affine, con l’ombra dell’inquisizione a decidere delle loro vite, lo sviluppo e l’importanza dei due soggetti ha un valore completamente opposto. Mentre la “strega” Antonia Spagnolini fu vittima innocente del sistema, ovvero una parte dello stesso che viene annientata per pura incomprensione, Zenone ne rappresenta la singolarità e la pura eccellenza. Zenone è il singolo uomo che si evolve e che si eleva dalla massa per pura volontà personale e che, nonostante l’infausta condanna ricevuta, decide di privarsi di quanto la misteriosa vita che così tanto ha studiato gli aveva regalato. L’opera al nero è, proprio in tal senso, la misteriosa e fascinosa operazione di scoperta e di investigazione del nostro lato oscuro, dell’abisso che continua a permeare l’esistenza umana. La nostra invincibile volontà nel risalirlo. Lo dice anche l’autrice: “Si discute tuttora se tale espressione venisse applicata ad audaci esperimenti sulla materia o se si riferisse simbolicamente al travaglio dello spirito nell’atto di liberarsi dalle abitudini e dai pregiudizi. È probabile che sia servita a indicare alternativamente o simultaneamente l’uno e l’altro.” Una lotta continua fra il nostro intelletto e la nostra natura primitiva e ferale. Rubando ancora le parole stesse dell’autrice “L’uomo è un’istituzione che ha contro di sé il tempo, la necessità, la fortuna e l’imbecille e sempre crescente supremazia del numero. Gli uomini uccideranno l’uomo.”