Michail Lermontov – Un eroe del nostro tempo

Io avverto in me questa avidità inestinguibile che ingoia tutto quello che incontra sul suo cammino: considero le sofferenze e le gioie altrui solo in relazione a me stesso, come un nutrimento che sostiene il vigore della mia anima. Io stesso non sono più in grado di perdere la testa sotto l’influsso di una passione; in me l’ambizione è oppressa dalle circostanze, ma si è manifestata in un’altra forma, perché l’ambizione altro non è che la sete di potere, e il mio principale piacere è sottomettere al mio volere tutto quanto mi circonda; suscitare verso di sé emozioni d’amore, di dedizione e paura: non è forse questo il primo segno e il più elevato trionfo del potere? Essere per qualcuno motivo di sofferenza e di gioia, senza avervi il benché minimo diritto: non è forse il più dolce nutrimento del nostro orgoglio? E cosa è mai la felicità? È orgoglio saziato. Se potessi considerarmi il migliore, il più potente di tutti al mondo, sarei felice; se tutti mi amassero, troverei in me sorgenti inesauribili d’amore. Il male genera il male; la prima sofferenza dà un’idea del piacere di tormentare un altro; l’idea del male non può entrare nella testa di una persona senza che questa non desideri metterla in pratica: le idee sono creature organiche, ha detto qualcuno:15 il loro stesso nascere dà loro una forma, e questa forma è azione; colui nella cui testa sono nate più idee, agisce più di tutti gli altri; per questo un genio legato a un tavolino d’ufficio bisogna che muoia oppure perda il senno, proprio come un uomo di robusta costituzione fisica che per la sua vita sedentaria e la condotta dimessa dovrà morire di un colpo apoplettico. Le passioni non sono altro che le idee nel loro primo sviluppo: sono un attributo della giovinezza del cuore, ed è uno stupido chi pensa di lasciarsene scombussolare per tutta la vita; molti fiumi tranquilli iniziano con fragorose cascate, ma nessuno salta e schiumeggia fino al mare. Ma questa calma è spesso indizio di una forza grande eppure nascosta; la pienezza e la profondità di sentimenti e pensieri non consentono slanci furiosi: l’anima, nella sofferenza e nel godimento, si dà severamente conto di tutto e si convince che così deve essere; sa che senza tempeste l’arsura costante del sole la disseccherebbe; si compenetra della sua stessa vita, vezzeggia e punisce se stessa come farebbe con un bambino amato. Solo in questo stato superiore di autoconsapevolezza un uomo può apprezzare la giustizia divina. Rileggendo questa pagina noto che mi sono molto allontanato dal mio argomento… Ma che importanza ha? Dopotutto questo diario lo scrivo per me stesso, e, di conseguenza, non importa cosa vi butti: col tempo sarà per me un ricordo prezioso.

 

 

DUE PAROLE

Ho avuto la fortuna di leggere un’edizione di “Un eroe del nostro tempo” contenente una postfazione di Nabokov, e consiglierei a qualsiasi lettore desideroso di approfondimento di riferirsi alla stessa piuttosto di perdere tempo qui. Un po’ per la mia ammirazione verso Nabokov, un po’ per evitare ridondanze inutili. Lo dico soprattutto per la semplicità e schiettezza del suo ragionamento, dote assai rara per chi azzarda l’ingrato compito di parlare di un altro libro. Mi fermerò pertanto a parlare di come le cose da egli evidenziate abbiano interagito con il sottoscritto. La prima – e più sentita – è stata l’introduzione graduale di Pečorin. Tramite un artificio molto apprezzato, ovvero l’interposizione di diversi narratori, Lermontov “rilascia” lentamente Pečorin al lettore. Lo somministra. Per usare le parole precise di Nabokov, Pečorin viene “rimosso dal lettore” numerose volte prima di essere liberato in prima persona. Come una bestia in gabbia, avvicinabile soltanto a tentativi. Non so quanto voluta fosse questa costruzione (apprendo infatti a posteriori che il romanzo non uscì compatto, bensì studiato e pubblicato come l’insieme di diversi racconti) ma è certamente una novità per le mie modeste conoscenze. L’avvicinamento al protagonista si mischia però con un’ulteriore confusione delle acque dal punto di vista cronologico e narrativo. Il romanzo è infatti composto da cinque differenti racconti, presentati nel testo in ordine sparso (e come Nabokov sottolinea, spesso anche pieno di incongruenze). Ne esce, a mio avviso, un’altra riuscitissima trovata (voluta o meno?) propedeutica alla costruzione del personaggio. L’aurea impenetrabile di Pečorin è mistificata al massimo dalla confusione labirintica creata attorno alla sua narrazione.
La seconda assonanza con la postfazione si basa invece su una poesia. Nabokov presenta un poemetto scritto dallo stesso Lermontov due mesi prima della sua dipartita, mentre io ho immediatamente pensato all’introduzione de “i fiori del male” di Baudelaire nei momenti in cui Pečorin indica la noia, o un derivato di essa, come l’origine dei suoi mali. E mi riferisco a queste precise parole “Mi sono messo a leggere, a studiare, ma anche le scienze mi sono venute a noia, capivo che la gloria e la felicità non dipendono affatto da loro, perché i più felici fra gli uomini sono ignoranti, mentre la gloria non è che il successo, e per procurarselo basta saperci fare. Allora ho cominciato ad annoiarmi”.
La terza assonanza è invece una velleità. L’accoglienza modesta della prosa di Lermontov ma il pieno riconoscimento (con relativo entusiasmo) del suo talento. L’ingenuità compositiva, o inventiva, la si chiami come meglio si crede, che è una trappola difficile da evitare per chi si cimenta nella stesura di una storia d’avventura vissuta in prima persona. Risulta spessissimo, fa notare Nabokov, che Pečorin origli importantissime conversazioni segrete con inusuale cadenza. Ma forse, come già detto prima, sta proprio in questo il bello di quest’opera: nella matrice dichiaratamente avventurosa e romanzata di una vita che vuole diventare romanzo. Tocca ripeterlo anche se costantemente ripetuto: una delle peculiarità di questo romanzo è che l’autore perirà dello stesso destino del suo protagonista (morendo in un duello).
Infine, chiudendo con qualcosa di personalissimo, l’ambientazione nel Caucaso e delle sue montagne (a volte fin troppo patinata, a dire il vero) mi ha suscitato piacevoli ricordi di uno dei viaggi più belli che abbia fatto.

 

INFO UTILI

203 pagine, circa 4 ore di lettura.
Edizioni Garzanti Grandi libri – ISBN 9788811364627