Nick Hornby – Funny girl

Sophie cominciava a capire che non ci si poteva far niente: attori e attrici sarebbero sempre finiti a letto insieme. Lo avevano sempre fatto e probabilmente avrebbero continuato a farlo per sempre. Gli attori, in generale, erano più attraenti delle persone normali. Era uno dei doni che avevano ricevuto – forse l’unico che contasse. In molti casi l’unico in assoluto. E queste persone attraenti stavano insieme gran parte del tempo, mentre altre persone, meno attraenti, le vestivano, le truccavano, le illuminavano di una luce che accentuava la loro bellezza, le ricoprivano di complimenti. Spesso, poi, queste persone attraenti venivano raccolte in location di grande fascino, molto lontano da casa. E spesso venivano assegnate loro delle camere comunicanti in begli hotel e la vita che facevano, in tutti i suoi aspetti, le incoraggiava a bussare alla porta a notte fonda. Clive e Sophie erano l’uno per l’altra un agente irritante, un prurito costante che bisognava grattare. Andavano a letto insieme, poi si ripromettevano di non farlo mai più, poi lo rifacevano; e tutte le volte che succedeva piaceva molto a tutti e due. Sophie non ci vedeva alcun male, ma di solito in una storia come quella non c’era molto futuro; Clive non era uno capace di vedere oltre la colazione della mattina dopo. «La sorpresa» consentì loro di conferire un alone romantico a un surrogato di futuro. «Non mi dispiace fare un figlio con te» ammise poi Sophie. «Nel programma, dico. Mi dispiace di aver detto quel che ho detto, l’altra volta.»
«Ti capisco. Lo stesso vale per me. E anche a me dispiace.»
«Credo che saremo degli ottimi genitori televisivi.»
«Magari per me sarà un buon allenamento. Un po’ come sentire l’acqua con l’alluce, diciamo.»
«Immagino di sì.»
Non certo per disincentivare quel suo senso di responsabilità, che le piaceva, Sophie si sentì in dovere di tenere ancorata a terra la conversazione.
«Lo sai, vero, che il più delle volte sarà una bambola di plastica?»
«Certo, ma è simbolico.»
«Sì?»
«Ma certo. Dovrò diventare un’altra persona. Come non sono stato mai. Qualcuno potrebbe dire: Sì, ma tu fai l’attore, è il tuo lavoro. Ma non si tratta solo di questo. Jim deve cambiare e io devo cambiare con lui.»

DUE PAROLE

Sophie Straw, una giovane e bellissima attrice proveniente dal nord Inghilterra volta alla comicità, si avvia sul proprio cammino costellato da successi, fama ed esperienze di vita. Dalla remota provincia alla grande Londra, il percorso di Sophie nella notorietà procede inarrestabile. Siamo nell’Inghilterra degli anni 60 che, seppur avanti decenni rispetto al resto d’Europa, concede ancora molti difetti in termine di emancipazione femminile. Il romanzo, ma ancora più la parabola della protagonista, è fotografia centratissima di quel processo e di quella voglia di indipendenza – quella irremovibile presa di coscienza – che la figura femminile ha compiuto negli ultimi cinquant’anni a questa parte. In un doppio gioco dove la vita reale si mischia alla commedia e alla recitazione, la bella Sophie si troverà a inscenare spesso quello che l’esperienza, in termini di relazioni amorose e ambiente famigliare, consegnerà di anno in anno alla sua stessa vita. Una specie di romanzo formativo che viaggia su binario speculare. Due lunghe rette parallele che lambiscono la libertà che in mezzo scorre. Le scelte arbitrarie, ovvero le derive e le sterzate che gli spiriti liberi debbono concedersi, saranno proprio il sangue vivo di quest’arteria che sgorga fra i meandri di tutte le imposizioni canoniche cui la vita ci pone di fronte.