Norman Maclean – In mezzo scorre il fiume


I pescatori pensano inoltre che il fiume sia stato creato tenendo conto anche di loro, e ne parlano come se le cose stessero davvero così. Parlano delle tre parti come di un’unità, e la chiamano “una buca”: le rapide sono “la testa della buca”, la grande curva è “l’azzurro profondo” o “la piscina”, e l’acqua calma e bassa, più giù, è “la coda della buca”; ed è così calma e bassa, pensano, per permettere loro di guardare il fiume e “tentare sull’altra sponda”. Mentre sul fiume davanti a me i miraggi del caldo danzavano e si sovrapponevano, sentivo forme e disegni della mia stessa vita unirsi a loro. Fu in quel posto, in quel momento, mentre aspettavo mio fratello, che cominciai questa storia, anche se, naturalmente, ancora non sapevo che le altre storie della vita sono spesso più simili ai fiumi che ai libri. Ma sapevo che una storia era cominciata molto tempo prima, vicino al rumore dell’acqua. E sentivo che più avanti avrei incontrato qualcosa che non si sarebbe mai eroso, e che ci sarebbe stata una curva brusca, cerchi profondi, un deposito, e la quiete. Il pescatore ha anche una frase per descrivere quello che fa quando studia la forma di un fiume. Dice di “leggere l’acqua” e forse per raccontare le sue storie vere deve fare più o meno la stessa cosa.“Perfino l’anatomia del fiume era messa a nudo. Poco più giù, verso valle, c’era un canale asciutto in cui un tempo scorreva il fiume, e uno dei modi di arrivare a conoscere una cosa è attraverso la sua morte.”

DUE PAROLE

In questo breve e intenso romanzo Maclean pone una privata tragedia famigliare di fronte alla solidità, alla profondità e alla grandezza del creato. Immerso nell’eden delle fiumose valli del Montana, l’uomo si avvicina al mistero della vita attraverso la devastante bellezza del creato. Un libro iconico, pittoresco per semplicità e bellezza. Il contesto sociale della famiglia è pressoché perfetto per addentrarsi completamente nel mistero religioso della natura e della dura legge di Dio. Il protagonista riesce a sopportare la perdita del fratello solo e soltanto grazie alla serenità che quel contesto infonde. Il romanzo è una parabola evangelica dove a parlare non è tanto il protagonista, quanto una coscienza altisonante. La metafora più cristallina, il fiume che scorre, gonfio di vita, popolato dalle creature di Dio che, di quel contesto, fanno tutto il loro mondo. L’acqua che passa, il tempo, la dimensione di scorrevolezza della nostra esistenza. La ripetitività ugualmente insita nel mnemonico gesto del pescatore. Il fiume diventa quindi il rivolo centrale della vita, l’essenza della natura che ha scavato la roccia, la granitica permanenza dell’esistenza. Dice Maclean nel testo: “Perfino l’anatomia del fiume era messa a nudo. Poco più giù, verso valle, c’era un canale asciutto in cui un tempo scorreva il fiume, e uno dei modi di arrivare a conoscere una cosa è attraverso la sua morte.” Sia il romanzo che il fiume diventano quindi il mezzo per conoscere il mistero più grande di Dio, l’uomo. Paradossalmente comprensibile nella sua manchevolezza più che nella sua essenza.