Piero Chiara – Il piatto piange


Bel momento dunque quando ci si mette al tavolo, ma ancora piú bello quando esce la prima spartizione di carte, quando si prendono in mano e si palpano un poco prima di guardarle, come una lettera che può contenere soldi, o l’annuncio di un guadagno, di un amore. In quel momento tutti i pensieri estranei se ne vanno: le noie di casa, l’avvenire, la minaccia di un impiego o di un mestiere. Si è davanti alla sorte con tutta la fiducia che si ha ogni volta, all’atto di tentarla.

DUE PAROLE

Un Romanzo divertente, scanzonato, che diventa quasi un piccolo manuale tecnico del gioco d’azzardo, direi meglio della vita del giocatore d’azzardo. Ma non siamo certo di fronte a un “giocatore” dostoevskiano. Qui la tragedia viene soppressa come una brutta notte di perdite al banco. Chiara passa dalle caricature dei coloriti personaggi del suo paese raccontandoci la spensieratezza di un luogo e di un tempo simbiotico allo spirito del gioco d’azzardo ovvero un divertimento ossessivo e compulsivo di un intero microcosmo, che galleggia – ostinandosi sacralmente a non affogarci – nello stagno del ventennio fascista. Vi è, anzi, una specie di stoico inno alla spensieratezza e alla libertà (ricco persino di piccole perle, lapidarie massime dei perdigiorno “Chi governa il piacere, al piacere deve saper rinunciare”). Un vivacissimo incastrarsi di infantili marachelle dove le donne, il sesso, il gioco e le semplici paure fanno tutto ciò che sembra essere necessario per la vita. E infantile, con la sua accezione più nobile, è a mio avviso l’aggettivo che meglio rappresenta le condotte dei protagonisti. Degno di nota il confronto a distanza con Garibaldi e i garibaldini. Così anche coi fascisti e la loro irruenta pomposità. Con le effigi e le reliquie posticce di un Italia convinta, impegnata, forse un po’ fessa, sicuramente ferma (di granitica stupidità come la statua che lo rappresenta) se comparata alle avventure da vitelloni dei compari della bisca di Chemin-de-fer. È il contrappasso degli interventisti, degli impegnati, dei patrioti. E Luino l’oasi rinsavita dei bighelloni. L’isola che non c’è di questi eterni Peter Pan.