Anche questa camera era senza vie di uscita, era l’eterna camera in cui viveva. Lui, che da anni non aveva domicilio, aveva tuttavia un posto in questa prigione ideale che ricostruiva per sé ogni sera, ovunque fosse.
C’era la sua agitazione, svuotata, come una scatola più piccola in una più grande. Uno specchio, una finestra, un porta. La porta e la finestra non si aprivano su nulla. Lo specchio si apriva soltanto su di lui. Accerchiato, isolato, Alain, all’ultima tappa della sua fuga, si afferrava a qualche oggetto. Nell’assenza degli esseri umani che si cancellavano non appena li lasciava, e spesso anche prima, questi oggetti gli davano l’illusione di poter toccare ancora qualcosa al di fuori di se stesso. È così che Alain era piombato in un’idolatria meschina; egli finiva col trovarsi sempre più alle dipendenze immediate dei ridicoli oggetti che la sua ristretta e beffarda fantasia sceglieva. Per l’essere primitivo (come per il bambino) gli oggetti palpitano; un albero, una pietra, possono sembrargli più suggestivi del corpo di un’amante, ed egli li chiama dèi perché gli sconvolgono il sangue. Ma per l’immaginazione di Alain gli oggetti non erano punti di partenza; era qui che essa tornava sfinita attraverso un breve viaggio inutile verso il mondo. Per aridità d’animo e per ironia, si era proibito di nutrire idee sul mondo. Filosofia, arte, politica o morale, qualsiasi sistema gli sembrava un’impossibile smargiassata. Così, non essendo sostenuto da idee, il mondo era a tal punto inconsistente da non offrirgli alcun appoggio. Soltanto i solido conservavano per lui una forma.
DUE PAROLE
Come si evince dal breve estratto del testo, il contesto in cui si aggira questo romanzo autobiografico (penso tale), esplora a tal punto i limiti del nichilismo da dividere il mondo, e quindi tutta la realtà che ci circonda, in due macrosfere: quella degli oggetti e quella del pensiero. Per il protagonista gli insiemi sono ugualmente empi e cercano costantemente di essere colmati attraverso l’uso delle donne e quello della droga (l’eroina, in questo caso, ma si noti che anche le donne appaiono mero strumento corporale). Il quadro dipinto da La Rochelle è freddo e buio. Il rimuginare di Alain crea lampi taglienti, delle lucide sciabolate di pensiero (stilisticamente invidiabili) che come comete giungono a spegnersi nel nero oceano di non-sense che la vita, ai suoi occhi, offre. L’orizzonte che divide gli emisferi è praticamente invisibile. Nelle elucubrazioni a riguardo, infatti, non sembra distinguersi alcuna differenza fra la vita e la morte. Un fuoco fatuo, appunto, un calore mortale che arriverà a spegnere il giovane e bel Alain, e di lì a poco anche l’autore stesso.