Sebastiano Vassalli – La chimera

Anche i contorcimenti successivi, della strega appesa al curlo per le braccia, o con le gambe spalancate sul tavolo di tortura, facevano parte di un rituale inconsapevole con cui la Chiesa cattolica (e anche quella protestante, a dire il vero) sfogò per secoli, su quelle sciagurate, la sua angoscia e il suo tormento del sesso; la sua paura della donna in quanto Diavolo e il suo bisogno di Diavolo. Quando poi la stagione di quei riti finì – con sollievo di una parte del clero, e disappunto di un’altra – tutto l’affare delle streghe s’impiccolì e si sfumò, razionalizzandosi con il senno di poi, riducendosi ad un errore concettuale in cui il sesso non aveva parte: del resto – e qui arriva in soccorso il falso storico, creato poi dalla cultura ottocentesca – che donne mai erano le streghe? Vecchie orribili, sdentate, con la bazza, piene di porri o di verruche pelosissime; comari idropiche, obese, deformate dalle fatiche e sfiancate dai parti. Chi, per quanto sessualmente represso, avrebbe potuto desiderare donne simili o anche soltanto immaginarsele svestite, senza provarne un invincibile disgusto? Ma la bruttezza fisica della strega come riflesso esteriore della sua bruttezza morale è una favola fondata su un pregiudizio: una favola romantica. In verità, se si potesse e si volesse andare al fondo di tutta la faccenda, si scoprirebbe forse che le cosiddette streghe, nella stragrande maggioranza dei casi, furono comari grassottelle e bellocce, d’età compresa tra i trenta e i cinquant’anni; e che non mancarono tra loro le giovanissime, come Antonia, o le bellissime come quella Caterina Medici di Broni che il protomedico Ludovico Settala, e l’arcivescovo Federigo Borromeo, e il Senato di Milano, condannarono come “femmina impurissima, strega e fattucchiera funestissima”, ad essere “condotta al luogo del patibolo sopra un carro, tormentata durante il cammino con tenaglie roventi e per ultimo bruciata”. In quanto poi alle vecchie con la bazza, anch’esse certamente esistettero, e qualcuna anche fu torturata come strega: ma è ragionevole, è umano sospettare che le loro ispezioni corporali fossero un po’ più sbrigative di quelle delle giovani, e che gli si consentisse un po’ più spesso di subire la tortura con qualcosa indosso? Io personalmente ne sono convinto: e può anche darsi che mi sbagli, ma non credo…

 

DUE PAROLE

Arrivo, ahimè tardi, a scoprire e leggere questo romanzo solo ora. Lo dico da novarese, o ex novarese, ormai, languido e nostalgico. Che Vassalli fosse una bandiera e un moto d’orgoglio per le mie terre, questo lo sapevo. Che il romanzo fosse così bello e importante, no. Me ne pento, qui faccio ammenda, doverosa, e provo anche a dirne due parole. “La chimera” (che già di un titolo che si ispira a Campana ci sarebbe da gioire) è la ricostruzione storica, non priva di spirito e arguto commento dell’autore, di un episodio accaduto nel diciassettesimo secolo, proprio sotto l’egida del vescovato Novarese. Si narrano in congiunta le vicende di Antonia e del Vescovo Bascapè. Quest’ultima, agli annali Antonia Renata Giuditta Spagnolini
ma ricordata poi come “la strega di Zardino” fu una bella ragazza della bassa condannata dall’inquisizione e bruciata pubblicamente in piazza. Il Vescovo, invece, fu figura storica di rilievo, probabilmente (anzi, sicuramente) più conosciuto per il prestigio ecclesiastico che per una morte ingiusta e vergognosa. L’audacità dell’autore sfrutta questi due personaggi e il secolo seicento per veicolare un forte messaggio di denuncia all’ottusità guidata dalla superstizione, nonché un monito alle vere bestie del creato: invidia, superstizione e ignoranza. Scava, Vassalli, nelle nostre origini. Si legga, ad esempio:
“Il Langhi dunque riferì al governatore le ragioni dei novaresi; il governatore le ascoltò, e lasciò che le leggi rimanessero com’erano. Del resto, era una precisa tecnica di governo al tempo della dominazione spagnola in Italia, questa di costringere i sudditi a convivere con leggi inapplicabili e di fatto inapplicate, restando sempre un poco fuori della legge: per poterli poi cogliere in fallo ogni volta che si voleva riscuotere da loro un contributo straordinario, o intimidirli, o trovare una giustificazione per nuove e più gravi irregolarità. Così è nata l’Italia moderna, nel Seicento: ma può essere forse motivo di conforto, per noi, sapere che il malcostume ci è venuto da fuori, e che è più recente di quanto comunemente si creda”.
E quando poco fa menzionavo l’aggettivo “audace” di certo non mi limitavo. Nella postfazione al testo, infatti, lo scrittore stesso spiega il preciso motivo di questa scelta e la ragione è, nientepopodimenoche, una piccola distruzione del Manzoni. Si sa, o almeno dovremmo sapere tutti, che Manzoni scelse e individuò il secolo in cui ambientò i promessi sposi come un momento cardine per la formazione e lo sviluppo del “carattere” italiano, per l’ossatura del nostro paesee. Le sue origini primigenee, dell’Italia come la intendiamo oggi, moderna e ancor schiava di rinomati stereotipi. Perché un salto tale? Perché questa coraggiosa scelta? In primo luogo, per l’inaccuratezza, o meglio, la patinatezza, con la quale Manzoni edulcorò i personaggi del suo capolavoro. Lo chiosa benissimo il Vassalli, senza puntare il dito: il Manzoni aveva bisogno di colorire un poco i suoi caratteri; l’Italia da formarsi aveva bisogno di ottimismo e di poca schiettezza. Non si azzarda, insomma, ad intaccare l’integrità o la bellezza dell’opera, ma solo a spiegarci come, in realtà, un qualsiasi parroco medio dell’inizio seicento fosse sideralmente distante dalla pacifica e gioviale immagine di Don Abbondio. Antonia venne torturata, bruciata, denigrata, umiliata e violentata per colpe innocenti quali l’estrema bellezza e la leggerezza di spirito (se così possiamo dire). Si pensi a quale differenze passino fra le protagoniste femminili dei romanzi, fra l’eretica e dannata strega e la beata Lucia.
Il secondo motivo è degno di esser riportato per intero, ed è vergato nel primo capitolo del libro (altra meravigliosa idea, aprire un libro con il capitolo chiamato “nulla”, parlando delle nebbie padane, paragonate alla nostra cecità). Dice Vassalli:
“Il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra, la parola “io”. Io, io, io… Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il “macigno bianco” che oggi non si vede.”
Il presente è rumore. Ecco perché spostarsi indietro di quattrocento anni (“La chimera” uscì nel 1990).
Quale profonda, semplice e devastante verità. Quale leva incredibile per scardinare questa maledetta rapsodia moderna dell’ego. Le comunicazioni velocissime, internet e molti altri “strumenti del demonio” (mi si conceda l’esagerazione, ma sto parlando di un libro eretico e mi piace rimanere in tema) stanno esasperando la cultura dell’io, stanno portando (sovrabbondanti di informazioni) ancora più rumore in un’epoca già piena di rumore del presente. Vassalli ha pienamente ragione, ne avrà sempre di più. Per “capire”, per “riflettere” e soprattutto per “sentire” è necessario spostarsi nel passato. Là possiamo trovare le nostre origini e i nostri perché, spaventandoci di noi stessi. Una società civile capace di questa incomprensibile barbarie, come il bruciare una donna pensandola una strega o propugnare la schiavitù ai poveri “risaroli” delle vallate.
Infine, e qui termino, ho particolarmente apprezzato l’uso di un martire al rovescio (banalmente, di una innocente) per levarsi alcuni sassolini dalle scarpe sulla mistificazione dello stesso. Non fu certo il Cristo l’unico ad aver sofferto “per noi” su questa terra. La povera Antonia, forte di una saggezza incomprensibile, e pur contadina, mise agli atti : “che di Gesucristi e Gesucriste è piena la storia”. Pura eresia o, più semplicemente, pura verità. Leggete come, senza nemmeno nominare il soggetto, Vassalli sappia dirne quattro anche al terzo (ed ultimo, e supremo) protagonista del libro:
“Tutto finito, sissignore. O forse no. Forse c’è ancora da rendere conto di un personaggio di questa storia, in nome del quale molte cose si dissero e molte altre si compirono, e che in quel nulla fuori della mia finestra è assente come è assente ovunque, o forse è lui stesso il nulla, chi può dirlo! È lui l’eco di tutto il nostro vano gridare, il vago riflesso d’una nostra immagine che molti, anche tra i viventi di quest’epoca, sentono il bisogno di proiettare là dove tutto è buio, per attenuare la paura che hanno del buio. Colui che conosce il prima e il dopo e le ragioni del tutto e però purtroppo non può dircele per quest’unico motivo, così futile!: che non esiste. Come scrisse un altro poeta, di questo secolo ventesimo: “Questi, che qui approdò, / fu perché non era esistente. / Senza esistere ci bastò. / Per non essere venuto venne / e ci creò”.

INFO UTILI

una decina di ore di lettura? Non so.
Edizioni BUR