La fatica di dirti, Armenia. La fatica di scriverti e saperti ed esserti passato attraverso come un pensiero nella testa, come polvere sulla strada, come vento nelle gole. E dei tuoi secchi cavalli aver sfiorato le ossa e dei tuoi alti picchi aver misurato l’altezza e delle tue sinuose forme aver goduto le curve e i colori e le vertigini. E dei i tuoi occhi vitrei che galleggiano in un passato di rassegnazione aver sostenuto lo sguardo. E dei tuoi spiriti invecchiati averne bevuto l’ebrezza, l’essenza, la casa, sia la bettola o il castello di un altro qualsiasi illuso come me che ancora crede nella verità delle strade, nella stupida malinconia del viaggio o nel valore di un rancido bicchiere di vino. La fatica di averti incontrato per egoismo, perché solo una terra può dare tanta bellezza senza chiedere nulla in cambio. La fatica di realizzare di essere già lontano da te. La fatica di ammettere che io passerò, noi passeremo, tutto passerà come la lunga marcia che era imposta ai tuoi perseguitati e che nel nome e nei simboli rincorre degli ideali, e che anche questi passeranno, e che anche tu passerai, e che anche il futuro passerà. La fatica di ammettere quello che ogni altro luogo o persona insegnano, che non si deve avere paura di scoprire, perché senza abbandono il vuoto non sarebbe così profondo. La fatica di averti visto come le tue donne, o la tua capitale, così imbellettate e attente all’opinione e le ricche risate nei tuoi bar dall’alto della cattedrale nel deserto che hai costruito, solitaria e occidentale, dove il sorriso si spegne non appena termina la tua ombra. La fatica di averti visto povera ed essermi approfittato di te. E quando i tuoi contadini, i tuoi pastori, i tuoi animali spelacchiati canteranno le loro canzoni ai sassi, quando i tuoi monaci, le tue chiese sui silenzi e le tue perpetue parleranno a Cristo, quando i tuoi nemici ti invaderanno senza pietà, io non sarò più stanco, né affaticato. Perché ora ti ho detta, ti ho vista e ti ho bevuta e starà a te mantenere vivo il tuo ricordo nel mio petto. E in un torrido pomeriggio d’agosto è giunto il momento di dirsi arrivederci, o addio.